Quando il sabato santo sembra non finire mai

Riusciremo a passare dal sabato santo, e poi dal suo lungo silenzio, al grido del resurrexit del mattino di Pasqua, anche nelle nostre istituzioni e nella nostra pubblica amministrazione?

Il sole di Pasqua sarà già alto quando il numero 12 di «Frontiera»­ arriverà nelle case; e la gioia del Cristo Risorto e vivo avrà conquistato il cuore dei fedeli.

Le cerimonie del Triduo pasquale ubriacano la mente e il corpo con la loro mistura di profumi, colori e suoni: solo chi li vive intensamente li va a ricercare ogni anno.

Ma ogni anno sappiamo che Cristo si rialza dalla tomba, rotola via la pietra, piega il sudario e abbandona il sepolcro.

Questi tre giorni riassumono e simboleggiano in qualche modo anche i nodi centrali della vita delle persone, ma anche delle comunità e della società.

Se si permane, però, sempre nel clima del sabato santo e non si scardina la pietra del sepolcro si rischia la putrefazione della morte, che è essenzialmente inattività, solitudine, rinuncia, decadimento, rovina.

La società civile italiana e reatina non sono così perché hanno attraversato il sabato santo, ma perché ci sono rimaste, senza fare il salto nel vuoto che però apre alla luce della risurrezione.

Questo è il problema dei singoli, delle coppie, della società; a volte anche di alcune realtà ecclesiali.

Crogiolarsi troppo nel fatto che «siamo nati per soffrire…e ci siamo riusciti in pieno», senza avere la forza e la determinazione per uscire fuori alla luce, vuol dire permanere nel sabato santo rassegnati e sconfitti; dare per morto un matrimonio «perché tanto oggi vanno tutti a finire così» vuol dire tirare i remi in barca e rinunciare a spostare la pietra che imprigiona nel fetore della tomba; rinunciare a mettere le mani, come si dovrebbe, in strutture civili ed ecclesiali che non funzionano più o funzionano male, vuol dire che non si crede più nella possibilità di una vita e di una vitalità nuova.

Lo dimostrano le vicende che interessano alcuni settori della pubblica amministrazione, dove modalità e approcci ai problemi restano quelli di un tempo, pur essendo cambiati gli inquilini dei piani superiori di “palazzo di città”; lo dimostra l’incapacità di dialogo a livello nazionale e internazionale, tra le forze politiche e le istituzioni; lo dice l’incapacità di dialogo nelle famiglie e nelle coppie.

Quando manca la dimensione “spirituale” cadono i castelli costruiti sulla sabbia; quando manca capacità di autocritica e di dialogo si liquefanno le possibilità di riprendere il cammino.

Il sabato santo è il giorno della sconfitta, le nostre istituzioni sono sconfitte, comuni dove i politici non possono nulla nei confronti di dirigenti e funzionari sono fallimentari, amministrazioni che non possono nulla contro le brutture di arredo e segnaletica urbana che sembra fatta dai barbapapà, quando siamo di fronte a determine dirigenziali o delibere scritte male, pubblicate in extremis, allora siamo ancora in pieno sabato santo, nel buio degli ìnferi senza apparente via d’uscita.

Quel pachiderma della Chiesa cattolica, guidato da ultrasettantenni, ci sta provando, e dalle prime sortite del nuovo Papa sembra possa riuscire a rivedere la luce della risurrezione.

Certo, di altre istituzioni, anche apparentemente più snelle, non possiamo dire altrettanto.

È necessario uno sforzo notevole da parte di chi le guida, di forza straordinaria per rotolare via la grossa pietra di morte che separa il buio freddo e fetido della tomba dalla luce calda e odorosa di primavera della vita rinnovata.

Riusciremo a passare dal sabato santo, e poi dal suo lungo silenzio, al grido del resurrexit del mattino di Pasqua, anche nelle nostre istituzioni e nella nostra pubblica amministrazione?

Forse sì, ma saranno ancora lunghi i tempi di attesa, non illudiamoci, ma non smettiamo di sperare.