Quale rapporto tra politica & giustizia? Olivetti (costituzionalista): trovare le forme per costruire un nuovo equilibrio

Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale all’Università Lumsa, riflette – a partire dagli ennesimi episodi, anche di particolare gravità – sul rapporto tra politica e giustizia che mostra sistematicamente aspetti patologici.

C’è bisogno di una politica forte e di una giustizia forte, come le avevano pensate i Costituenti. Non si tratta di tornare indietro rispetto a quanto è cambiato in questi anni, ma di ricostruire un equilibrio. È questo, in sintesi, il messaggio che arriva dalla conversazione con Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale all’Università Lumsa, di fronte agli ennesimi episodi, anche di particolare gravità, di un rapporto tra politica e giustizia che mostra sistematicamente aspetti patologici.

Professore, di quale malattia soffre il nostro sistema sotto questo profilo? E quali ne sono le cause?
I fattori sono molteplici e la storia è lunga. Dobbiamo tener presente che il nostro Paese ha avuto e purtroppo ha un problema di corruzione politica molto evidente, che in alcuni momenti è esploso in maniera eclatante, come nel caso di Tangentopoli. Non dobbiamo neanche dimenticare che cosa abbia storicamente rappresentato la stagione berlusconiana, tra conflitti d’interesse e interventi legislativi mirati a difendere le proprie posizioni, anche in sede processuale. Su un altro piano va poi messo in evidenza il ruolo straordinario, in un certo senso di supplenza, che la magistratura ha svolto nella lotta alla mafia e, in termini diversi, in quella contro il terrorismo. A mio avviso questi quattro fattori hanno finito nel tempo per modificare il modo di percepire il proprio ruolo da parte dei magistrati, soprattutto di molti pubblici ministeri, per essere precisi.

Modificare in che senso?
In quello che lo stesso presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Eugenio Albamonte, ha spiegato in una recente intervista al Corriere della Sera. Cito: “Nelle antiche monarchie la magistratura era subordinata alla politica, mentre in democrazia è fisiologico che la prima controlli il livello di legalità con cui agiscono i politici”. Beninteso, è assolutamente pacifico che se il compito dei magistrati è quello di perseguire le violazioni della legge da parte dei cittadini, questo avvenga senza sconti anche per i politici, che sono cittadini come tutti gli altri. Ma quello che implicano le parole del presidente dell’Anm è un ribaltamento di prospettiva che attribuisce alla magistratura un ruolo attivo di contropotere. Quando poi scatta anche quel rapporto perverso tra una parte dei magistrati e una parte dell’opinione pubblica che già vent’anni fa il sociologo Alessandro Pizzorno aveva lucidamente messo in evidenza, allora la deriva dei processi mediatici diventa incontenibile.

Però è anche vero che la debolezza della politica in questa fase è di per sé un elemento di squilibrio del sistema. Si rischia persino di andare a votare con sistemi risultanti da due sentenze della Corte costituzionale perché il Parlamento non è stato finora in grado di approvare una legge che pure riguarda l’elezione dei suoi membri.
C’è da dire che da trenta-quarant’anni in quasi tutte le democrazie occidentali – e negli Stati Uniti già molto prima – è in atto uno spostamento di potere dalla legislazione alla giurisdizione, non solo quella penale. È un fenomeno evidentemente criticabile dal punto di vista del funzionamento di una democrazia e che non si tratti di un fenomeno solo italiano non attenua la sua problematicità.

Le cause vanno ricercate da un lato nell’incapacità della politica di produrre soluzioni, come nel caso paradossale che lei ha citato, mentre la giurisdizione si mostra in grado di dare risposte attraverso i processi; dall’altro nella difficoltà della politica di essere percepita come legittimata democraticamente ad assumere decisioni collettive.

E questo anche a causa dei fenomeni di corruzione che continuano a essere rilevanti nel nostro Paese.

Che cosa si può fare per cercare di porre rimedio a questa situazione? Non le chiedo una ricetta magica, ma un’ipotesi di ragionamento…
In astratto si potrebbero indicare tante soluzioni, ma se osserviamo con realismo la situazione italiana non ci sono le condizioni per interventi strutturali. Sarebbe già un risultato importante se si potesse tornare a discutere di questi temi con un minimo di serenità, senza essere catturati nella logica di “guardie e ladri”, senza ritrovarsi automaticamente arruolati in questo o quello schieramento. Alcuni provvedimenti nei casi specifici possono e devono essere presi: il nostro sistema prevede organi competenti per questo tipo di interventi. Ma la questione è molto più profonda. Vede, in origine la Costituzione aveva costruito un equilibrio molto raffinato tra una politica forte e una giurisdizione forte, per le cui rispettive autonomie si introducevano garanzie molto significative. Sul versante della politica, per esempio, l’articolo 68 prevedeva che non si potesse neanche sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Questa garanzia negli anni è stata usata molto male e anche per questo motivo si è arrivati ad abolirla a furor di popolo.

Tornare indietro non è possibile, ma non verremo fuori da questa situazione se non sapremo trovare le forme per costruire un nuovo equilibrio.