Il problema non è il Fertility day, ma la salvaguardia della fertilità

La campagna del Fertility day ha fatto storcere il naso a molti, ma ha il merito di sollevare una serie di questioni che non dovrebbero essere oggetto di dispute ideologiche. Prima fra tutte, con buona pace dei vari opinionisti, la salvaguardia della fertilità femminile e maschile, un bene prezioso di cui aver cura “prima” per non dover ricorrere a vari aiutini quando è troppo “dopo”. E che dire dei carenti servizi ai genitori? Pare che se ne sia accorto anche il governo…

Ci sono campagne che funzionano perché fanno discutere e campagne che fanno discutere e basta. Quella varata dal ministero della Salute sul Fertility day tende a oscillare più verso un lato, ma le critiche dei soliti maître-à-penser che non hanno perso occasione di usare la contraerea ad alzo zero, possono avere un senso solo se si collocano nell’ambito della modalità comunicativa, non sul tema della stessa che è e resta ineludibile: la fertilità di uomini e donne è una risorsa scarsa, prima ce ne rendiamo conto e meglio è. Su questo dovremmo essere tutti d’accordo, stante che il Fertility day è un’iniziativa sostenuta dalle società medico scientifiche che si occupano di procreazione. Può non piacerti come te lo dice, ma se è il medico che ti dà un consiglio che giova alla tua salute, forse sarebbe utile come minimo ascoltarlo. Dopodiché, sei anche libero di fare quello che ti dice il guru.Intanto, nel polverone generale, ci sono almeno tre punti da mettere bene a fuoco.
In primo luogo, se l’idea di usare l’immagine di una ragazza con una clessidra può non essere stata felice, e lo dimostrano gli innumerevoli e spesso azzeccati “meme” ironici che circolano in rete, non si può negare il dato scientifico.

La fertilità di una donna è “a perdere” e cala inesorabilmente con il passare degli anni.

Si può dire quel che si vuole, ma che le possibilità femminili di procreare siano maggiori a 25 anni piuttosto che a 40 è un fatto confermato dalla letteratura scientifica internazionale e dall’esperienza clinica quotidiana. Se così non fosse, ci sarebbe da chiedersi come mai una quota sempre maggiore di donne, al crescere dell’età, sia costretta a ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per poter concepire. E anche così le percentuali di successo con ovociti propri dopo i 40 anni sono bassissime, tali che persino le cliniche dedicate non possono esimersi dallo scrivere “l’età della paziente è un fattore decisivo”. Salvo poi proporre l’eterologa o l’utero in affitto, ovvero ovuli (questi sì) produttivi di giovane donna o pancia di altrettanto giovane donna che faccia quello che il nostro corpo, per raggiunti e inesorabili limiti fisiologici, non è più in condizione di fare. Per non parlare della fertilità maschile, una chimera misconosciuta minata da fumo, sedentarietà e scarsa prevenzione medica: con l’abolizione della visita di leva i giovani italiani hanno bypassato anche l’unico controllo clinico ante problemi prostatici.
Secondo punto su cui non deve esserci alcuno spazio di fraintendimento è il fatto che fare figli non può essere considerato un dovere.

Nessuno salva la Patria o assume il diploma di benemerito solo perché si è riprodotto.

Che però l’Italia sia nel pieno di un inverno demografico che mina pesantemente il futuro dello stato sociale è una realtà che non può essere ignorata. Lo spiega bene Massimo Livi Bacci sull’ultimo numero di Limes, non proprio una pubblicazione ultracattolica. Livi Bacci parla di “graduale prosciugamento delle generazioni dei nati” che “è andato spopolando le scuole, riducendo gli ingressi nel mondo del lavoro e lo stock della forza lavoro giovane adulta, comprimendo il numero dei potenziali genitori”. Siamo un Paese in cui l’istituto pensionistico sta pagando le pensioni grazie ai contributi versati dai lavoratori, giovani. Con la longevità media in continuo aumento e il saldo negativo per le nascite di 162mila unità del 2015, bastano un paio di proiezioni per capire che a questo stadio la sostenibilità del sistema pensionistico e del welfare rischiano grosso, anche con l’ingresso degli immigrati.
Infine il terzo punto, il più ovvio se vogliamo: lo stato dei servizi che consentono la genitorialità. A qualunque età. Ebbene, siamo contenti di constatare che anche il governo, rappresentato dal presidente del Consiglio in diretta radio questa mattina su Rtl 102.5, abbia posto l’accento sul fatto che mancano le strutture. “La mia opinione è che se vuoi creare una società che torni a fare figli – ha detto Renzi – devi creare situazioni strutturali come asili nido, tempi di lavoro delle famiglie, servizi. Le società dove c’è un trionfo di passeggini lo fanno non perché c’è una campagna dietro, ma perché ci sono queste misure”. Bravo presidente! Sottoscriviamo con lei ciò che come cittadini e associazioni ci sgoliamo a chiedere da anni. La sentiamo così serio nell’aver inquadrato perfettamente il problema che ci permettiamo di rilanciare: noi siamo pronti a dare una mano, ma, precisamente, a chi dobbiamo rivolgerci?