Poveri vandali

Da qualche tempo si rincorrono sui giornali le notizie di atti vandalici, per lo più in centro. Nulla di troppo nuovo, in verità. Di cretini che si divertono a far danni, purtroppo, ce ne sono sempre stati. Tuttavia sembra stia aumentando la gravità delle azioni. Non si tratta più solo di bottiglie di birra rotte, vesciche svuotate dove capita e cassonetti rovesciati. Gli ultimi episodi contano pure le gomme d’auto squarciate in via Nuova e l’intrusione con danni alla moschea ospitata poco lontano, nei locali del malridotto ex convento di San Benedetto.

Come si debbano interpretare questi gesti non è facile dirlo. Forse si tratta semplicemente di persone dedite al nulla, votate alla vacuità, annoiate da tutto. Si può pensare sia semplicemente gente cattiva, ma rimane il sospetto di avere a che fare con persone profondamente disperate. Magari vivranno con un riso sguaiato e un divertito compiacimento le proprie imprese. Ma sotto sotto ci dev’essere una profonda tristezza e una qualche miseria.

Forse lo sfasciare è una residuale forma di partecipazione, l’andare in giro a combinare disastri una strategia per non farsi dimenticare dalla società che conta. Questo non vuol dire che di fronte al misfatto bisogna capirli. Ma compatirli sì.

Sono poveracci che non sanno impiegare il loro tempo a fin di bene. Sono i figli vuoti di una pluriennale fiera delle vanità: la messa in scena di una città che continua ad inseguire chissà quale grandezza, mentre quel poco di bellezza che le rimane sembra quasi un prezioso involucro del nulla.

A pensarci bene, gli atti vandalici corrono il rischio di confondersi con le tante altre e ben più gravi ferite che la città ha sopportato e probabilmente dovrà ancora sopportare. Al pari di tanti altri interventi occorsi alle nostre strade e alle nostre piazze, sembrano gesti compiuti da persone stordite da idee inutili e ubriacanti. Azioni pensate apposta per tentare invano di nascondere l’abisso in cui siamo a poco a poco scivolati.

Ma se le cose stanno così è inutile lamentarsi. Anche dalle cronache più odiose appare come in filigrana qualcosa dell’anima della città, di fronte al quale sarebbe già un passo avanti prendere atto di come siamo messi, per poi provare a prenderci seriamente cura del dolore nostro e di quello altrui.