Poveri noi

La politica ha davvero nel cuore la volontà di rispondere al disagio?

Leggendo il rapporto sulla Povertà presentato dalla Caritas diocesana la scorsa settimana, colpisce il progressivo aumento degli interventi. È un dato che porta a sentimenti contrastanti. L’impegno della Diocesi e degli operatori è senz’altro positivo. Aumenta il numero di servizi che i volontari diretti da don Benedetto riescono ad erogare. Ma questo sforzo denuncia anche una preoccupante tendenza negativa. Vuol dire che il numero di quelli che non riescono a farcela da soli cresce.

È sotto gli occhi di tutti: gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un progressivo aumento delle difficoltà. Certo, la miseria non è ancora un fenomeno diffuso, “di massa”. Si assiste però ad una preoccupante espansione delle aree del disagio.

Una situazione per la quale si possono rintracciare motivi molteplici. Ci sono di mezzo la globalizzazione e la crisi economico-finanziaria, è ovvio. E poi il dissesto del sistema produttivo, il disordine della città, il disfacimento della famiglia, la precarizzazione del lavoro.

Sono cose che sanno tutti, banalità del tutto evidenti, forse troppo. Potrebbe anche essere il caso di rimetterle in discussione, di ricominciare a ragionarci su dall’inizio. In fondo le ricette sperimentate finora dai manovratori non hanno invertito la rotta. Anzi, talvolta viene il sospetto che siano causa o concausa di tanti mali.

La classe dirigente attuale, del resto, è legata alla cultura che ha accompagnato alla sconfitta la domanda di equità e giustizia sociale. Difficile sperare in una politica di redistribuzione da Monti, Passera e Fornero. Difficile pure pensare che al marasma della politica elettorale reatina seguirà una amministrazione attenta ai cittadini, al di là della chiacchiera.

I problemi sembrano ormai irriducibili alla politica: sono diversi i bisogni, il linguaggio, i referenti, gli scopi. Da un lato c’è una popolazione che annaspa o galleggia, dall’altro una spartizione tra privilegiati. Nel mezzo non c’è quasi più nulla.

Anche le forze che dovrebbero essere maggiormente vicine ai problemi sociali paiono incapaci di andare oltre certi discorsi di maniera. Sembra quasi che il disagio lo conoscano solo per sentito dire. In tanti casi, più che a rimediare all’inquietudine e allo smarrimento, si direbbe che cerchino clientele e riserve per la caccia elettorale.

Qualcuno dirà che stiamo ripetendo il solito discorso qualunquista. Può darsi. Ma le differenze tra le varie linee politiche sembrano ridursi a qualche sfumatura. Alla fine conta solo la poltrona. È facile prevedere che le cose rimarranno così a lungo. Gli ideali dei ricchi e dei poveri coincidono, questo è il guaio. Entrambe le categorie puntano a riempirsi le tasche di soldi e quello che va appena oltre il loro privato lo ignorano.

Proposte in direzioni diverse ancora non riescono a darsi voce. C’è, è vero, qualche rivendicazione alternativa dal sapore ambientalista, ma soffre di una radicale (e giustificata) sfiducia verso qualsiasi partito. Le istanze migliori si riducono al generico bisogno del bene comune. Tante belle parole che incidono poco e nascondono un amaro nichilismo.

Con le elezioni alle porte in città si dovrebbe respirare un’atmosfera di rinnovamento, una ventata di aria fresca. Ma dietro la facciata, la frenesia pre-elettorale è pur sempre quella dei soliti interessi. Solo che la torta da spartire che si fa sempre più piccola e le bocche sono tante. Lo sappiamo tutti, e tutti cerchiamo di non pensarci, mentre le file alla Caritas continuano a crescere.