Poche chiacchiere, tanta preghiera

La vita di Madre Teresa raccontata da Michele Gualano, senza autocensure

“A Roma venimmo in contatto anche con gente che aveva la povertà nel cuore: la povertà di chi non si accontenta di ciò che ha, di chi non sa aprirsi agli altri e si dispera nella propria solitudine”.

Uno dei pregi di “Vivere per gli altri. La storia di Madre Teresa” (Città Nuova, 96 pagine) è la capacità del suo autore, Michele Gualano, di evitare il mito “esotico” della fondatrice delle Missionarie della Carità. Gualano, servendosi delle testimonianze dirette (discorsi, interviste, confidenze), fa parlare in prima persona la protagonista del suo libro, con grande semplicità, rispettando anche in questo lo stile di vita e la personalità di Madre Teresa, sempre diretta al cuore delle questioni che le si ponevano di volta in volta. Il libro è il tentativo di presentare il punto di vista della beata non solo nei confronti di quella realtà di miseria e abbandono che trovò in India nell’anno del suo arrivo, il 1929, ma anche rispetto ai valori della vita in generale. Quelle parole che abbiamo citato in apertura sono importanti per molti motivi: i problemi dell’uomo, sembra dire Madre Teresa, non stanno solo in lontani paesi dove la gente muore di fame abbandonata da tutti, ma anche nel sazio occidente, che ha fame e nostalgia di valori spirituali, dopo averli considerati ostacoli alla realizzazione della libertà.

Il libro ci aiuta anche a ripercorrere le principali tappe della vita di Madre Teresa, dalla nascita a Skopje, oggi capitale della Macedonia, nel 1910, da genitori albanesi, fino ai primi segni di una vocazione che l’avrebbe portata all’abito religioso e all’insegnamento, prima del passo definitivo a favore degli ultimi della terra.

La sua figura si caratterizza nettamente attraverso la narrazione: instancabile, coraggiosa, dedita a chi non ha nulla, neanche un affetto, immersa nella preghiera nelle pause del suo prodigarsi per gli altri e, – qui dobbiamo fermarci un attimo -, poco propensa alla chiacchiere. Non che fosse nemica delle parole: semplicemente non aveva tempo per esse. Sta qui probabilmente una certa incomprensione da parte di alcuni giornalisti, anche di rilievo, che hanno scambiato quella sua ritrosia e semplicità per rifiuto o per problemi di memoria. In realtà Teresa pensava assai poco alle interviste, immersa com’era nelle problematiche della sua missione, e questo era contrario al bon ton della comunicazione mediatica. Il suo fare doveva per forza mettere da parte il dire. Fu quel suo fare che la portò a chiedere, in occasione del conferimento del Nobel per la Pace nel 1979, l’annullamento del banchetto di festeggiamento per destinare quei soldi, tremila sterline, ai poveri. Un fare coerente, che val bene qualche bella parola in meno.

Gualano da una parte non fa accenni – e nomi – alla stampa che avversò l’opera di Teresa, ma dall’altra prende coraggiosamente di petto la delicatissima questione della “notte oscura” che la beata attraversò per molti anni e che nel 2007 il Time ribattezzò, su due piedi, ateismo. Quella crisi fa parte del cammino di molti, e soprattutto di diversi santi, come Giovanni della Croce, che ce ne hanno lasciato pagine memorabili. Sono pagine che trasudano nostalgia di Dio e della Casa del Padre, cui si vorrebbe tornare, ma di cui talvolta si perdono le tracce nella selva oscura della vita. La sensazione del silenzio di Dio è parte di questo incredibile cammino di una piccola donna che mette da parte l’insegnamento in un tranquillo collegio dalla parte “giusta” di Calcutta per varcare la soglia della parte oscura, quella contornata non da cespugli di rose ben curate, ma di cattivi odori e raccapriccianti sofferenze. Senza l’aiuto di Dio sarebbe stata una impresa impossibile, e i suoi momenti di eclisse furono accettati come prezzo da pagare per quell’apparentemente umano, solo umano, miracolo: “Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché credo sia una parte, una piccolissima parte, dell’oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla terra”.