Il Pil in maschera

Interrogativi sul ricalcolo comprensivo di attività illegali

Per l’Europa siamo diventati più ricchi. Ma noi non ce ne siamo accorti. Su indicazioni dell’istituto di statistica europeo, Eurostat, l’Istat ha iniziato a ri-conteggiare le stime del Pil. Arrivano i primi risultati. Con le nuove stime nel 2011 il nostro prodotto interno è cresciuto del 3,7%. Hanno contribuito ad arricchirlo: il traffico della droga, la prostituzione, il contrabbando e l’economia sommersa.

Ora sappiamo che in Italia il traffico di droga pesa 10,5 miliardi, la prostituzione 3,5 miliardi, l’economia sommersa, ricalcolata, tocca i 187 miliardi.

Era davvero necessario questo restyling del Pil che introduce pratiche illegali, e in alcuni casi criminali, nel conto? Molto probabilmente si alimenterà ancora più confusione intorno allo strumento del prodotto interno, stavolta veramente “lordo”. Ma le conseguenze non si limitano al piano etico.

In primo luogo si creano delle “distorsioni economiche”, come sottolineano alcuni economisti. Perché, spiega Marcello Esposito su “lavoce.info”, il Pil è utile per offrire agli investitori un’indicazione circa la “base imponibile”, cioè quanto un Paese può (potrebbe) aumentare le tasse per rientrare dai debiti contratti. Invece molte voci del nuovo calcolo sfuggono alle “autorità fiscali” di un Paese, a meno di non volerle legalizzare.

In secondo luogo si pongono problemi di validità delle stime. La maggioranza delle attività sono considerate reato in molti Paesi dell’Unione, quindi risulta assai difficile che si trovi qualcuno disposto a dichiarare i gli introiti derivanti dalla vendita di droga o dalla prostituzione ad esempio. Immaginiamo le prove svolte dai poveri statistici, inviati ai crocicchi delle strade per comporre il campione sul quale calcolare le stime degli affari contratti.

In terzo luogo si tocca la dimensione etica: intanto il rispetto del principio di uguaglianza delle opportunità nel libero mercato, perché quelli che si muovono nell’illecito introducono pratiche di concorrenza sleale. Poi, e più importante, c’è la visione di uomo e di donna che quelle pratiche suppongono, contraria alla dignità della persona, alla difesa della vita, alla promozione del bene comune.

Il Pil da strumento contabile per valutare le risorse di un Paese, per questo era stato ideato nel 1939 da Simon Kuznets, è diventato un valore assoluto per la difesa dell’Austerity europea degli anni 2000. Al suo cospetto la politica per lo sviluppo di una nazione deve piegare il capo.

Siamo così arrivati al paradosso di falsare lo strumento per poter rialzare la testa. Ma quali effetti comporterà il trucco? Quale credibilità avrà un’Unione europea sempre meno soggetto politico vicino ai cittadini e sempre più un’istituzione burocratica e finanziaria?

A fondamento della falsificazione del Pil c’è un’idea di economia malata. Come leggiamo nell’Evangelii Gaudium al n. 203: “La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive su programmi di vero sviluppo integrale”.