Storie

Pellegrini a Lourdes: le storie di sofferenza che cambiano la vita

Tanti i volti che, tra pellegrini, soci e volontari, animano il pellegrinaggio nazionale promosso da Unitalsi in occasione del 115° anniversario associativo.

Dalle espressioni commosse di chi si immerge nelle piscine ai barellieri che, nonostante il caldo di questo settembre insolitamente estivo tra i Pirenei, non cessano un istante di svolgere la propria attività di volontariato, alla dolcezza delle sorelle che con la loro inconfondibile divisa bianca hanno una parola per tutti.

«Chi non vede la méta del suo cammino, si attacchi alla croce ed essa lo porterà» scriveva sant’Agostino. Un’esortazione forte, antica eppure attualissima, che a Lourdes sembra risuonare con ancora più vigore, nonostante lo scorrere del tempo che rende il luogo dell’apparizione della Vergine a Bernadette davvero ‘intatto’ nella sua attrattiva spirituale. Un’attrattiva frutto della devozione che si incarna nei tanti volti che, tra pellegrini, soci e volontari, animano il pellegrinaggio nazionale promosso da Unitalsi in occasione del 115° anniversario associativo.

Dalle espressioni commosse di chi si immerge nelle piscine ai barellieri che, nonostante il caldo di questo settembre insolitamente estivo tra i Pirenei, non cessano un istante di svolgere la propria attività di volontariato, dalla dolcezza delle sorelle che con la loro inconfondibile divisa bianca hanno una parola per tutti, senza distinzioni, alla squadra locale di rugby – il Football Club Lourdais Hautes-Pyrénées – composta da giovanissimi che spingono le carrozzine prima della processione, mille sono le storie che meriterebbero di essere raccontate. Tre, in particolare, parlano di fede viva, di sofferenza patita e di spirito di servizio, unite da un comun denominatore: la speranza cristiana, nutrita di umiltà e carità.

«Nonostante le evidenti debolezze, qui siamo protagonisti di un’esperienza condivisa». Stefania Ferri ha 31 anni, proviene da Reggio Emilia e sprizza energia da tutti i pori. Il suo sorriso è contagioso, mentre con la sedia a rotelle si avvicina e chiarisce con piglio disarmante: «Veniamo definiti malati, ma generalizzare è sbagliato: la mia, come quella di altri disabili, in realtà è una condizione con cui dover convivere…»

La sua tretraparesi spastica è dovuta ad una mancanza d’ossigeno durante il parto e qui ci è arrivata “per caso”. Stefania, infatti, ha conosciuto la realtà dell’Unitalsi nel 2011: voleva partecipare a tutti i costi alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid e «l’unico canale per arrivarci era la sottosezione di Modena». L’anno successivo la prima esperienza al santuario francese, superando ogni ritrosia.

«Avevo dei pregiudizi e non mi sentivo pronta per un pellegrinaggio ‘da anziani’: il richiamo, però, è stato più forte. Davvero la Madonna, la ‘padrona’ di casa, nella grotta ci permette di assaporare una dimensione di famiglia nel segno della spiritualità e della fraternità, facendoci respirare un senso di pace”, aggiunge con entusiasmo. Oggi questa giovane da pellegrina è diventata volontaria ed è impegnata nel coordinamento dei gruppi di preghiera con i Rosari meditati. La scelta è semplice: “Come gli altri hanno messo a disposizione il proprio altruismo nei miei confronti, così ora faccio io con il prossimo, offrendo i talenti che il Signore mi ha donato, perché il valore aggiunto della nostra associazione è quello di sentirci protagonisti di un’esperienza di vita condivisa nonostante le umane fragilità e le evidenti debolezze».

Dal rifiuto della disgrazia alla conversione del cuore nel segno della croce. «Perché proprio a me?». Questa domanda ha tormentato l’animo di Adriano Macchiati, cinquantenne marchigiano di Corridonia, in provincia di Macerata, per tanti anni. Era il 1985 e lui era un adolescente quando un terribile incidente, dopo averlo ridotto in coma, lo costrinse alla paralisi. Un verdetto inaccettabile, intriso di assoluto sconforto.

«Ricordo ancora quella domenica quando mi dissero che la lesione irreparabile alla colonna vertebrale avrebbe frantumato tutti miei sogni di ragazzo», rammenta Adriano con voce serena che, a quell’età, non sopportava l’idea di vedere i suoi coetanei divertirsi mentre lui era inchiodato ad un dolore sordo e costellato di domande esistenziali prive di risposta. La ribellione verso la disgrazia ‘correva’ su quelle due ruote, sebbene la famiglia lo spronasse a non cedere alla depressione per un futuro ferocemente negato.

La conversione del cuore per lui è avvenuta nel 2005, quando dopo non poche insistenze, un conoscente lo invitò ad andare a Lourdes.

Un gesto che per quest’uomo, autentico concentrato di simpatia e schiettezza, non era affatto necessario: «Non sentivo l’esigenza di compiere un pellegrinaggio fino a qui macinando chilometri, convinto che fosse la Vergine a dover raggiungere me e non il contrario». Macchiati attualmente riveste incarichi a livello locale per l’Unitalsi ma il primo impatto, come confessa senza vergogna, fu terribile.

«Scesi dal treno – dice – e mi assalì un profondo malessere. Sarei voluto ripartire all’istante, invece girando da solo tra l’esplanade e gli spazi che costeggiano il fiume, ho capito che il Signore aveva voluto farmi toccare il fondo per rendermi capace di apprezzare meglio il grande dono che tutti abbiamo e non possiamo sprecare: la vita». Per lui «la paraplegia è indubbiamente una croce, ma la croce più pesante la porta Cristo e solo nel Vangelo possiamo trovare quella luce in grado di renderci veramente felici».

Christian, nove anni e il coraggio capace di vincere la più terribile delle battaglie. Quando aprono la porta della loro stanza, al quarto piano della Salus Infirmorum (la casa d’accoglienza dell’Unitalsi a Lourdes), Elisa e Silvio Azzarello sfoderano il più accogliente degli sguardi. Per loro è il primo pellegrinaggio sui passi di Bernadette Soubirous. Nemmeno quarantenni, coccolano il loro Christian, di appena nove anni: oltre a lui, a casa li aspettano un altro figlio gemello e un altro poco più grande. Anche se le pungono più volte gli occhi, nemmeno per un attimo le lacrime scalfiscono la fierezza di questa giovane mamma e del suo sposo, originari di Cammarata, in provincia di Agrigento.

Eppure, questa coppia legata dall’amore e da una forza ammirevoli, passata in pochi giorni dalla quotidianità più spensierata al calvario che nessun genitore riuscirebbe mai a contemplare, di motivi per abbattersi ne avrebbe.

Tutto è iniziato nel febbraio 2017, da un banale dolore al fianco che il bambino avverte, che sua madre intuisce immediatamente come sospetto per via di una visibile tumefazione ma che i medici non riconoscono come grave. È la stessa Elisa a ripercorrere tutte le tappe di questa vicenda che assume, a più riprese, i tratti di un incubo. “Quando ci venne comunicata la diagnosi il mondo ci crollò addosso: Christian non aveva un virus, ma il tumore di Wilms, ossia un nefroblastoma tipico dell’infanzia”, spiega questa siciliana dai tratti gentili e un carattere di ferro, che ha seguito la malattia di suo figlio senza mai smettere di lavorare e di accudire la famiglia.

Da quel verdetto segue la spietata giostra di tribolazioni fatte di ricoveri, interventi, tac, attese minate dal terrore, segnali positivi misti ad angoscia, atti di affidamento al Padreterno alternati a notti di pura disperazione, fino ai devastanti cicli di chemioterapia per annientare “quella massa molliccia di 20 cm” che andava prepotentemente crescendo in quel corpicino così gracile. L’”angelo custode” che i coniugi Azzarello incontrano nel proprio cammino ha le sembianze di un primario competente e dotato di una sensibilità eccezionale, che trova la giusta via per ridurre in necrosi il male aggressivo. Dietro l’angolo, tuttavia, ancora un’altra dura prova per Silvio ed Elisa: una recidiva inaspettata distrugge nuovamente un equilibrio faticosamente costruito.

«Progettavamo viaggi e invece, di colpo, ci siamo ritrovati ad entrare ed uscire dagli ospedali, a non ridere più, piombando nella cupezza più nera e cercando di spiegare ai fratelli di Christian la verità con delicatezza. Il nostro piccolo guerriero, intanto, non smetteva di combattere la sua battaglia: grazie alla disponibilità della dirigenza, tra le premure dei compagni di classe, nostro figlio, che ama studiare, è riuscito comunque a non perdere un giorno di scuola, escluse chiaramente le settimane di cura».

Una cura che avrebbe spaventato qualsiasi adulto, ma di fronte alla quale questo bimbo vivace e curioso ha saputo reagire con coraggio “senza mai lamentarsi”, nemmeno quando la cuffia per proteggere la calvizie dovuta alla chemio e la mascherina per prevenire infezioni potevano farlo sentire diverso dagli altri.

Tra esami di controllo, febbri improvvise e responsi più o meno rincuoranti, con il passare dei mesi per la sopravvivenza di Christian, indiscussa mascotte di questo pellegrinaggio nazionale 2018, si rende necessario il trapianto autologo di cellule staminali, andato a buon fine con un recupero fisico “in tempi record”. Più d’uno i segni che gli Azzarello interpretano come provvidenziali, maturando quindi l’intenzione di recarsi a Lourdes.

«Fino all’ultimo la partenza è stata compromessa da una serie di accadimenti, ma la Madonna ci ha chiamati qua – affermano all’unisono – e, sebbene non siano mancati i momenti di totale afflizione, non abbiamo mai smarrito la fede, anche grazie alle preghiere dei nostri cari. L’augurio? Quello di tornare riconsegnando al più presto al nostro Christian la vitalità e la normalità che il tumore gli ha negato».

Dal Sir