Corpus Domini

Partecipata processione del Corpus Domini in centro: giusta fame di vero pane

Nella serata di domenica 23 giugno si è svolta in centro la processione per la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

C’è chi ha fame e non ha pane, ma anche viceversa, dice la saggezza popolare. E il problema della comunità credente rispetto all’Eucaristia è proprio questo: avere davvero fame di Dio.

Ha richiamato il singolare valore di quel pane e vino donato, di quel dono supremo perpetuato nel sacramento eucaristico, il vescovo Domenico, nella celebrazione cittadina della festa istituita per contemplare in modo speciale quello che la Chiesa celebra ogni giorno e in particolare la domenica. Piene le navate di Santa Maria, la sera del Corpus Domini, con tutte le parrocchie di Rieti convenute in Cattedrale per la solenne Messa che si prolunga nell’adorazione pubblica del mistero di Cristo, presente sotto le sacre specie, attraverso l’atto esterno della processione eucaristica.

Spezzare il pane rende umani

Partendo dalle letture bibliche, monsignor Pompili ha richiamato innanzitutto il senso del gesto di offrire pane e vino, che risale alla figura mitica del re di Salem Melchisedech, «il cui nome è indecifrabile senza il riferimento a Salem, che significa pace». Quel pane e vino che, nella cultura del bacino mediterraneo, sono da sempre «segni tangibili ed efficaci dell’ospitalità» e dunque, ha sottolineato il vescovo, «Gesù, come nuovo Melchisedech, si riallaccia a questa esperienza ancestrale nel segno della condivisione più che della moltiplicazione dei pani». Sì, questo aspetto del condividere ha voluto mettere in evidenza l’omelia di monsignore: «In effetti, quando l’uomo divide il pane resta umano. Per questo l’Eucaristia diventa la cifra di una logica che siamo chiamati a rendere presente “ogni volta… finché egli venga”», ha detto Pompili richiamando le parole di san Paolo nella seconda lettura.

Ritrovare la fame di Dio

Dunque, un dono grande, quello significato nel pane e nel vino e perpetuato nella celebrazione dell’Eucaristia. Ma abbastanza valorizzato? Abbastanza apprezzato da coloro che tale dono custodiscono? Il problema, ha detto don Domenico, «è che oggi l’Eucaristia rischia di essere un segno offuscato dall’abitudine e, ancor prima, dall’indifferenza. Ne è prova non solo la scarsa pratica religiosa, ma anche quel senso di assuefazione che si riflette nel volto dei residuali partecipanti. Non sembra di partecipare a qualcosa di essenziale e di vitale, ma soltanto ad un rito stanco e incomprensibile». Da tale situazione se ne esce solo se si sa «ritrovare la fame e la sete di Dio!». Oggi c’è infatti un problema di “inappetenza”, di non sapersi nutrire: una forma di anoressia spirituale, ha detto monsignore, che «è quella di chi non avverte più il desiderio di Dio e si abbandona a dei surrogati. Qualcuno si rivolge agli alcolici e alle droghe. Altri si suicidano. Altri, ancora, trovano una parvenza di sicurezza nella ricchezza e nell’accumulo di beni. Qualcuno, comprensibilmente, ricorre allo sport, agli spettacoli o al sesso per distogliere l’attenzione dall’angoscia e dalle preoccupazioni della vita. C’è chi vagheggia un ritorno al passato, ancora chi nega la scienza e si affida di volta in volta a nuovi stregoni, rifiutando perfino i vaccini».

Parola, lode, comunità

Ecco allora quello che la offre la festa del Corpus Domini: si tratta, per Pompili, di tre cose, «la parola, la lode, la comunità». La parola è il primo nutrimento: «ascoltare Dio ci aiuta a uscire dal chiacchiericcio e ci fa rientrare in noi stessi», mentre la lode al Signore «rende consapevoli delle tante opportunità della vita, senza lasciarsi assuefare alla lamentazione»; infine, la comunità, che «sottrae all’isolamento che porta a vivere reclusi in se stessi, invece di condividere i pesi gli uni degli altri. Appena si risveglia il desiderio di Dio si riaccende anche quello del prossimo.

Dunque l’ordine di Gesù che, dinanzi alla folla affamata, ripete ai discepoli “Date loro voi stessi da mangiare” diventa, ha concluso il presule, «un ordine che chiama in causa ciascuno perché la pasta umana possa lievitare verso il meglio. L’Eucaristia non risponde alla nostra fame appagandola semplicemente, ma spingendoci oltre noi stessi. Accendendo un’altra fame che conduce ad andare incontro agli altri», proprio ciò che si vuole esprimere con quel cammino processionale in mezzo alla città portando il Cristo eucaristico.

Processione sulle infiorate nel cuore della città

Cammino che, dopo la comunione, esposta l’Ostia magna nell’ostensorio, dalla Cattedrale si è snodato, attraverso le vie del centro, iniziando e concludendo sui tratti di via Cintia addobbati dai quadri floreali che gruppi di infioratori appositamente convogliati hanno realizzato per accogliere il passaggio del Santissimo Sacramento che, nell’ostensorio recato in mano da monsignore (sotto il baldacchino sorretto dai confratelli della Pia Unione Sant’Antonio), è stato portato nel cuore della città, accompagnato da due lunghe file di fedeli, con banda cittadina, religiose, Cavalieri del Santo Sepolcro e bambini che spargevano petali in onore del “divino eucaristico Re”.

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