Due Papi Santi: «Chiamiamolo “San Giovanni del Concilio”»

Proposta di Alberto Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio e direttore della Fondazione Giovanni XXIII: “È questa la cifra di Papa Roncalli”. La somiglianza con Francesco? “Ci abbiamo messo 50 anni a liberarci dalla vulgata di Roncalli come ‘il Papa buono’! L’eloquenza del papato è solo l’eloquenza del Vangelo: tutto il resto sono trappole da leader di partito”.

Papa Francesco? “È figlio del Concilio, è figlio di Giovanni XXIII. Come Giovanni Paolo II”. Parola di Alberto Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore della Fondazione Giovanni XXIII, che a proposito della doppia canonizzazione del 27 aprile ricorda un precedente illustre montiniano. E a proposito di Papa Roncalli, lancia a Papa Francesco una proposta precisa e suggestiva: che scelga, come nome del nuovo santo, “San Giovanni del Concilio”.

Professore, cominciamo con la doppia canonizzazione di due Papi. Un evento senza precedenti, nella storia della Chiesa?

“In verità un precedente per la doppia canonizzazione esiste, e risale al 19 marzo 1965, quando Paolo VI rifiutò le richieste fatte da alcuni vescovi, della Polonia in particolare, di una canonizzazione conciliare di Roncalli e rifiutò nel contempo la minaccia di altri vescovi di reagire tramite una canonizzazione a furor di popolo di Pio XII. Paolo VI optò per due processi ordinari, uno per Pio XII e uno per Roncalli. Quando nel 1993 Papa Wojtyla sbloccò la causa di Roncalli, scelse di vincolarla a quella di Pio XII. E, successivamente, fissò la beatificazione di Papa Roncalli insieme a quella di Pio IX. La stessa cosa, ma alla rovescia, l’ha fatta Papa Francesco: davanti alle pressioni per una canonizzazione super-rapida di Giovanni Paolo II, ha ripreso l’iter della beatificazione di Roncalli e lo ha fatto procedere in via straordinaria, saltando le ulteriori fasi del processo di canonizzazione. Hanno denominato questa procedura ‘pro gratia’, ma in realtà si tratta di una pratica antica come il mondo: fa parte delle prerogative del Papa e della sua infallibilità scegliere i candidati alla canonizzazione e indicarli al culto della Chiesa universale. E può farlo anche saltando i passaggi intermedi”.

Se dovesse indicare la cifra e l’eredità di Giovanni XXIII, da dove partirebbe? 

“Giovanni XXIII è stato il Papa del Concilio: come c’è stato un san Giovanni della Croce, c’è stato un ‘san Giovanni del Concilio’. Sarebbe bello che Papa Francesco scegliesse questo nome per il nuovo Santo… È questa la cifra di Papa Roncalli a cui fare riferimento, come ha riconosciuto Giovanni Paolo II quando ha parlato del Concilio come ‘la grande grazia del secolo ventesimo’. Una grazia che è passata dalla santa obbedienza di Giovanni XXIII. Roncalli ha sempre rifiutato, per la Chiesa, l’idea della ‘cultura del progetto’: l’immagine, cioè, della riforma della Chiesa come corrispondente a un disegno architettonico che va rispettato modulandosi ad esso piano piano. Giovanni XXIII ha accettato la condizione peregrinante della Chiesa, e ha voluto rimettere l’umanità su quella lunghezza d’onda”.

Ha senso oggi parlare di Concilio Vaticano II, quando c’è chi a più riprese chiede un “Vaticano III”? 

“Nel 1909, quando Roncalli era prete da soli cinque anni, l’enciclopedia cattolica più in voga all’epoca, ‘Catholicisme’, alla fine sentenziava che non ci sarebbe stato più bisogno di Concili nella Chiesa, perché il Papa aveva ormai acquisito l’infallibilità e la giurisdizione universale. Poco dopo, nello stesso anno, Bonomelli chiese il Concilio. Ai tempi del Concilio Vaticano II, c’era l’idea che avrebbe dovuto risolvere molto presto i problemi, mentre l’idea del Concilio Vaticano III è nata grazie a chi – come il cardinale Martini nel 1999 – sosteneva che c’era bisogno di un altro Concilio per andare oltre. Bisogna considerare il Concilio non tanto come ‘exploit’, ma come espressione della sinodalità nella vita della Chiesa. Il Concilio non è una macchina che prende decisioni: paradossalmente, il Vaticano II ha funzionato proprio perché la sua impostazione è fallita”.

Quale “lezione” ha voluto dare Giovanni XXIII convocando il Concilio? 

“Ha voluto far vivere alla Chiesa l’esperienza della collegialità: una lezione attuale ancora oggi. Il nuovo Concilio dovrà porsi di più il tema del rapporto con le altre Chiese. Nel 2016 è stato convocato il Concilio panortodosso: è la risposta a una seminagione, e paradossalmente viene dalle Chiese orientali. È stato il cattolicesimo romano a insegnare loro a trovare la fiducia nella ‘conciliarità’. Papa Francesco sta già percorrendo questa strada: il Consiglio degli otto, ad esempio, non è un organo consultivo ma una realtà collegiale che risponde all’idea di una Chiesa non come democrazia, ma come pneumatologia. L’unità tra le Chiese, il primato della liturgia, il profondissimo radicamento nella tradizione: questi altri tratti caratteristici del Concilio. Per Roncalli la tradizione non era la ‘valigia della nostalgia’, ma il lunghissimo fluire della Chiesa nel tempo, che insegna a gioire del presente come occasione e non come minaccia”.

Cosa risponde a chi tende ad accostare Giovanni XXIII e Francesco, nel loro tratto pastorale? 

“Ci abbiamo messo 50 anni a liberarci dalla vulgata di Roncalli come ‘il Papa buono’! L’eloquenza del papato è solo l’eloquenza del Vangelo: tutto il resto sono trappole da leader di partito. Di Giovanni XXIII come di Francesco, la gente apprezza l’autenticità, la coerenza tra ciò che dice e ciò che vive. Parafrasando Paolo VI, possiamo dire che il nostro tempo ha bisogno di maestri che siano anche testimoni. Per aiutarci a scoprire e leggere, da cristiani, i segni dei tempi”.