Papa-Scalfari: il prezzo dell’anima di chi non crede

Suggestioni di oggi: dialogo fra Bergoglio e il giornalista. E di ieri: l’episodio del “Mondo Piccolo” di Giovannino Guareschi con protagonisti il Nero e il dottor Spiletti

“Io non credo all’anima”. “Non ci crede, ma ce l’ha”. Basterebbe questo fulmineo scambio di battute a far comprendere la misura sconfinata e profonda del vangelo popolare di Papa Francesco.

“Io non credo all’anima”. “Non ci crede, ma ce l’ha”. Basterebbe questo fulmineo scambio di battute a far comprendere la misura sconfinata e profonda del vangelo popolare di Papa Francesco. Che, con semplicità e mitezza, risponde alla supponenza di Eugenio Scalfari. Così il giornalista che voleva fare il professore di teologia, si è accorto, con sincero stupore, di trovarsi di fronte chi la teologia la vive ogni giorno, nel proprio cuore. Ma queste due brevi frasi, in un dialogo che pare destinato a proseguire, ci riportano da questo piccolo mondo a un altro “Mondo Piccolo”. Quel paradigma ideale creato da Giovannino Guareschi dove Don Camillo e Peppone, insieme alla coorte dei personaggi intorno e alla presenza discreta del Signore, discutevano di grandi cose risolvendo le piccole.

Ecco, il duetto Bergoglio-Scalfari ricorda, con straordinario e limpido parallelo, un altro famoso dibattito sulla presenza dell’anima. Ne “Il ritorno di Don Camillo”, l’anziano e avarissimo dottor Spiletti decide di aprire una finestra in una parete, per economizzare un’ora di sole la sera. Per abbattere il muro chiama “il Nero”, muratore comunista e ateo, che comincia a lavorare di buona lena finché si martella un dito e inizia a inveire pesantemente. Il dottor Spiletti lo riprende: “Smettila di bestemmiare, finirai per perdere l’anima”. E il Nero, di rimando: “L’anima? Mi prendete per un cretino?” “Tu non credi di avere un’anima?” “Io credo a quel che vedo e nessuno ha mai visto l’anima di nessuno”. Spiletti si avvicina e punta il bastone contro il petto del Nero: “E allora, che cos’hai lì dentro?”; “Voi me lo chiedete? Un dottore? Ci sono i visceri, quando funzionano l’uomo è vivo, quando non funzionano più l’uomo è morto”.

A questo punto Guareschi ha uno dei suoi colpi di genio e, ribaltando in una riga sola anni di tradizione mefistofelica in materia, mette in bocca a Spiletti una battuta faustiana: “Bene, se sei sicuro di non avere l’anima, vendimela! Te la compro”. Il Nero tentenna: “Non posso vendermi una cosa che non ho. Non sarebbe onesto” (e anche su questa splendida onestà del muratore molto ci sarebbe da osservare). Ma Spiletti insiste: “Vendimela! Vuol dire che se non ce l’hai davvero ci avrò rimesso i soldi. Ma se ce l’hai … diventa mia”. A questo punto il Nero cede, e dopo una breve contrattazione sulle modalità e sul prezzo “un’anima rossa come la tua non vale più di 500 lire, ma vada per mille” avviene la stesura del contratto con la solennità della carta da bollo e la firma. Il Nero ridacchia: “Mille lire per niente! La vecchiaia vi ha rammollito”. L’anziano dottore non si scompone: “Non preoccuparti per me, non ho mai fatto un cattivo affare in vita mia”.

Passano i giorni, il muratore si sente a disagio. Consulta il medico e gli chiede se, a suo parere, gli manchi qualcosa; ferma il suo capo, Peppone, e domanda febbrile se lo trovi cambiato, suscitandone la giusta ira. Infine arriva l’alluvione, che tutto porta via, e mentre traghetta una famigliola sfollata, il Nero interroga Don Camillo: “E’ vero che il vecchio Spiletti sta per morire? Ha qualcosa che mi appartiene, un contratto tra me e lui”. Don Camillo fa finta di nulla: “Io non sono un notaio, io mi occupo di anime”; “appunto, è la mia anima che gli ho venduto per mille lire”. Don Camillo sorride: “Beh, hai sempre detto che l’anima è un’invenzione dei preti, quindi l’hai messo nel sacco”. Ma il Nero non demorde, l’angoscia lo attanaglia, così, in cima al campanile, punto più alto del Paese e rifugio improvvisato, Don Camillo intercede presso Spiletti per l’anima del Nero: “Gli renda quel contratto, non vede che sta male?”. E l’indomito dottore risponde serissimo: “E dove ha male? Ai visceri? Lui non ha che visceri lì dentro”. Il muratore è esasperato, lo sguardo smarrito e folle, così sbotta: “Quel che ho lì dentro non vi riguarda. Se c’è qualcosa non vi riguarda!”. Il vecchio si ferma, estrae dal mazzo il contratto e, rifiutando le mille lire rese, restituisce la carta, quieto: “Ah, allora tieni, io non ne ho più bisogno. Il mio scopo è raggiunto”.

Il contratto riconquistato brucia nel fuoco di una candela, insieme alle mille lire del prezzo dell’anima.