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Pane del cielo e cibo di strada

Nel centro storico la processione del Corpus Domini ha dovuto tener conto dello Street Food Time. E viene da chiedersi se la piazza sia il luogo giusto per ospitare ogni evento

Ne abbiamo discusso a fondo in redazione l’altra mattina e alla fine abbiamo deciso di lasciar perdere. Pazienza se nel centro storico la processione del Corpus Domini ha dovuto tener conto dello Street Food Time. A sollevare il problema, ci siamo detti, si rischia di non essere capiti. Si trattasse di difendere il crocifisso in classe, o il presepe a Natale, sarebbe facile: basterebbe ricorrere alla retorica sulle radici e le tradizioni. Ma la reale presenza di Cristo nell’eucaristia è un altro paio di maniche. Il concetto è troppo complicato e non parla alla pancia dei cittadini. Che invece è la specialità dell’«evento più saporito e goloso»: con i suoi «stilosi food truck» ha avuto dalla sua parte «centinaia di proposte culinarie», annaffiate da «birre artigianali» e «vini pregiati».

Sarebbe fonte di guai pure mettersi a sollevare eccezioni di tipo estetico. Mica si può dire, ad esempio, che non tutti gli eventi sono adatti alla piazza. Nel caso specifico si verrebbe semplicemente accusati di voler negare ai reatini «tre giornate di assoluto piacere e divertimento». E con ogni probabilità ci si ritroverebbe in breve tempo consegnati alle liste di quelli che «a Rieti non puoi far niente». Bisognerebbe però discutere sul perché, da diverso tempo, si tenda ad identificare la città con il suo centro storico e proprio nel momento in cui questo si svuota di persone e funzioni. Pare quasi non si riesca ad ammettere che nel tempo si sono sviluppati più centri, che poco alla volta gli spazi della città hanno differenziato e trasformato le proprie funzioni. E che dunque attività diverse sono più appropriate in certi luoghi e meno in altri. Non si tratterebbe di fare a meno di questo o quell’evento, ma di ampliare i luoghi d’interesse e d’incontro, di riconoscere il potenziale e la vocazione di ogni zona della città. Il Rieti Sport Festival, ad esempio, è sembrato ben pensato e realizzato. A dispetto di troppe fiere in piazza e delle loro bancarelle, ha pure il merito di fare leva su una vocazione autentica del territorio. Ma non sarebbe più naturale al Guidobaldi?

In questi discorsi si avventurano in pochi. Ragionamenti da «signore impellicciate», direbbe, risentito, qualcuno. Tutti gli altri restano presi dall’urgenza dell’eterno “rilancio” del centro storico. Un rilancio a volte «matto e disperatissimo», che non riesce a organizzare le priorità ed evitare le sovrapposizioni. Un rilancio quale che sia, non importa se con il formaggio, la porchetta o il peperoncino. E non conta se gli sforzi, a volte pregevoli, si risolvono in un boom di presenze impietosamente destinato a sgonfiarsi a manifestazione finita.

Ma va bene: le nostre, dicevamo, sono solo chiacchiere da ufficio, fatte un po’ per scherzo, tra l’affettuoso e l’ironico. Discorsi che saltano veloci da un argomento all’altro. E così, ragionando su street food, centro storico e buon senso, siamo finiti a parlare dei tavolini all’aperto dei bar e dei ristoranti. Gli esercenti li posizionano a ragion veduta, anche se qualcuno tende ad allargarsi un po’ oltre la concessione. Alcune tavolate, però, stanno proprio a ridosso dei monumenti. Hai voglia a parlare di vocazione turistica: qualche volta l’effetto è quello di un pugno in un occhio. Tavoli, sedie e ombrelloni. posizionati a ridosso delle chiese storiche, denunciano installazioni buttate giù senza metterci il cuore, che finiscono col deprimere ciò che magari vorrebbero valorizzare.

Ecco, siamo fatti così: presi da una sana voglia di fare finiamo per accavallare e sovrapporre i tavoli alle piazze e pure gli eventi tra di loro. Forse rimaniamo invischiati nelle nostre contraddizioni perché ancora non siamo capaci di un incontro: tra di noi e tra le nostre opposte fazioni, qualche volta anche con il buon senso. Bene hanno fatto allora i frati cappellani della Pia Unione di Sant’Antonio a mettere proprio il tema dell’incontro al centro del Giugno Antoniano. Un incontro tra persone e anche con lo Spirito, ovviamente. Magari aiuterebbe a riaprire un dialogo tra le esigenze dei laici e quelle oramai minoritarie dei cattolici. Che per la verità al dialogo sono sempre aperti.