RiData

Pagnoncelli presenta il report di RiData: «Un’idea coraggiosa che si basa sulla conoscenza e non perde di vista la formazione»

Sala gremita all'Innovation Center IBM di largo Graziosi per la presentazione del report sulle attività del laboratorio RiData: a presentare la pubblicazione che fa il punto sul lavoro compiuto lo scorso anno, il vescovo Domenico e il sondaggista Nando Pagnoncelli

Sala gremita all’Innovation Center IBM di largo Graziosi per la presentazione del report sulle attività del laboratorio RiData, voluto dalla Chiesa di Rieti. A presentare la pubblicazione che fa il punto sul lavoro compiuto dal gruppo di lavoro nel corso dello scorso anno, il vescovo Domenico e l’ammininistratore delegato della società demoscopica Ipsos, Nando Pagnoncelli.

Lasciarsi interpellare dalle situazioni concrete

«Abbiamo voluto questo incontro non per inseguire la “religione dei dati” – ha detto monsignor Pompili durante l’introduzione – ma per avere, oltre stantie percezioni soggettive, qualche elemento oggettivo da condividere insieme. E non sembri strano che la Chiesa si occupi di cose tanto terrene: è un modo per la Chiesa stessa di operare una conversione pastorale che faccia proprio un metodo induttivo, passando dalla presunzione di far calare tutto dall’alto al lasciarsi interpellare dalle concrete situazioni di vita».

Occorre dunque tenere presente che siamo sì l’umbilicus italiae, ma su questo ombelico non bisogna ripiegarsi, perchè «Rieti è nel suo piccolo ciò che l’Italia è nel suo grande, quindi occorre confrontarsi con il resto del Paese, per ritrovare stimoli e prospettive dentro una visione d’insieme che non può essere disattesa».

Il vescovo ricorda la vocazione storica reatina, quella di «terra di confine, le cui radici storiche devono tener conto di parti dell’Umbria, dell’Abruzzo, del Lazio, delle Marche: basterebbe questa annotazione per riequilibrare altre radici, quelle socio-economiche, che fanno dell’omo reatinus – come ebbe a dire monsignor Chiarinelli – un essere tendenzialmente autosufficiente, conservativo e individualista».

Il vescovo ha proseguito l’introduzione citando la resilienza delle “città intermedie”, che fanno i conti con molte difficoltà concrete, ma possono anche vantare virtuose imprese artigiane, eccellenze nel terziario, o comportamenti attenti all’ambiente che risultino più efficaci che in città più affollate.

Fermenti piccoli, ma particolarmente attivi, caratterizzati da prossimità, intese più facili e relazioni più fattibili. «Anche da noi qualcosa si muove e paradossalmente dopo il terremoto», ha concluso Sua Eccellenza. «Quel tragico spartiacque che fa emergere le potenzialità è la sfida che siamo chiamati ad affrontare: potremmo sparire oppure rivivere, e addirittura meglio di prima».

Il Paese che non c’è. E quello che c’è

Riprende da dove “ci eravamo lasciati” nell’aprile dello scorso anno, il professor Pagnoncelli. Dalle “lenti di pessimismo” da cui occorreva liberarsi, dalla percezione negativa, talvolta del tutto sbagliata rispetto ai fatti, che gli italiani hanno di sé stessi. E commenta l’idea di RiData, il laboratorio voluto dalla Chiesa di Rieti.

«Trovo questa iniziativa coraggiosa, non solo perchè è difficile raccogliere i dati, ma anche perchè viviamo in un’epoca che diffida dei numeri. I cittadini li guardano con diffidenza, pensando che le statistiche siano manipolate, quando invece sono uno strumento assolutamente democratico».

Un ambito molto delicato, che spesso si scontra con l’opinione pubblica, che negli anni sta assumendo un valore sempre più centrale. «È giusto e legittimo che l’opinione pubblica sia importante – commenta Pagnoncelli – ma pare ci sia stato un rovesciamento dei ruoli. Ascoltare le opinioni dei cittadini è essenziale, ma occorre stare molto attenti, perchè le opinioni e le percezioni sono spesso molto distanti dalla realtà. Su questo elemento occorre riflettere, perchè pareri e sensazioni dei cittadini vanno tenute in considerazione, ma a patto che non assumano un ruolo di guida. Un atteggiamento che presenta molti rischi».

Destreggiandosi abilmente tra i numeri, Nando Pagnoncelli incentra il suo intervento a partire dalle statistiche raccolte per il suo ultimo libro La penisola che non c’è, una sorta di viaggio nel mondo dei sondaggi, strumento preziosissimo che, come uno specchio, dovrebbe riflettere l’immagine di una società e che invece, nel caso dell’Italia, ne svela inaspettatamente le mille incoerenze.

Incoerenze e discrepanze, a tratti macroscopiche, tra il reale e il percepito, tra il vero e il presunto, che il sondaggista illustra in maniera semplice e assolutamente chiara.

«Gli italiani sono portati ad accrescere, enfatizzare la portata delle difficoltà e delle criticità del nostro Paese, in maniera assai maggiore di come la situazione è realmente». Un tema che si intreccia anche con la comunicazione e con i mass media, che di frequente scelgono di calcare la mano sui punti negativi, senza concentrarsi sui punti di forza, che invece è necessario rimarcare e sottolineare. E le frecce che l’Italia ha al proprio arco sono tuttora molte. Dalla moda alla cultura, dallo sport al manifatturiero, la penisola eccelle in moltissimi campi: eppure, pochi italiani ne hanno percezione, e anche se la situazione è nettamente migliore rispetto agli anni scorsi, le lenti che anneriscono tutto di pessimismo, faticano ancora ad essere tolte.

Innumerevoli gli esempi che possono essere fatti in merito. Dal dato sui diabetici, che l’italiano crede siano uno su tre, mentre invece la popolazione italiana colpita da diabete arriva circa alla percentuale del 5%, a quello sulla disoccupazione, che arriva al 10%, mentre l’italiano pensa sia del 40%, fino ad arrivare alla percezione dell’anzianità dei connazionali: per l’Istat, le persone sopra i 65 anni sono il 22,6% , per gli italiani addirittura il 48%.

Dati sfalzati e letture distorte che si spalmano su ogni tematica, e condizionano in una sorta di effetto domino le sensazioni e le reazioni della società.

Basti pensare all’immigrazione: gli italiani sono convinti che il 26% circa dei residenti nel nostro Paese siano immigrati, mentre il dato reale ne conta il 9%; che il 20% di loro sia di religione islamica (3,7% secondo la Caritas, 2% secondo l’Istat) e che il 48% dei carcerati sia di nazionalità straniera, a fronte del 34% effettivo. Secondo gli italiani percepiamo dunque una vera e propria invasione di extracomunitari musulmani dediti al crimine, tanto da considerare l’immigrazione il maggior flagello nazionale, ma interrogati su quali siano le emergenze da affrontare a livello locale, collochiamo il tema migratorio all’ultimo posto, ben dopo la tutela dell’ambiente.

«Un dato molto interessante – commenta Pagnoncelli – che sottolinea la grande discrepanza tra la situazione locale e quella nazionale, assolutamente non convergenti. Perchè, nel posto dove si vive, i migranti non sono considerati un pericolo, e nella situazione generale sì? Semplice, perché i migranti con cui abbiamo a che fare direttamente sono considerati diversi: il pizzaiolo sotto casa o la badante dei nostri genitori, sono persone che conosciamo personalmente, e dunque giudichiamo buone».  In generale, ci si concentra su relazioni sociali ristrette, e si fa fatica a fare discorsi a più ampio raggio.

«Innanzitutto, il motivo di questo evidente strabismo – afferma Pagnoncelli – è la scarsa conoscenza della realtà che ci circonda, un’ignoranza che non è dovuta tanto alla bassa scolarizzazione quanto alla scelta, sempre più frequente, di basare le nostre informazioni sull’immediatezza, su un bisogno di aggiornamento quasi compulsivo, ma superficiale, soddisfatto dalla televisione e da internet. È evidente che, in questo modo, diventiamo facili prede di fake news e notizie distorte, e rischiamo di perdere credibilità come popolo e come nazione».

Come uscirne? «È necessario, per uscire da questa impasse, che ciascuno si assuma la responsabilità di approfondire, partecipare e discutere criticamente, spogliandosi dei panni dello spettatore rassegnato per riappropriarsi con fiducia del ruolo di cittadino a tutti gli effetti, membro attivo della comunità civile. E poi, sono necessarie le competenze. Mi è piaciuto molto, che uno dei quattro Incontri di Cittadinanza di RiData sia stato incentrato sull’educazione, insieme a economia, salute e cultura. Non dobbiamo mai abbassare la guardia rispetto alla formazione, conoscere ed essere competenti oggi è di importanza vitale. La velocità che abbiamo oggi nel reperire informazioni genera spesso superficialità: occorre studiare, sapere, approfondire, informarsi bene».

E capita, molto spesso, che si diventi esperti di spread senza sapere neppure cosa sia, o di “risanare” l’economia pubblica mentre facciamo colazione al bar, senza avere neppure nozioni base in merito. Ed è proprio da questo, dalla nacessità di conoscere dati certi e reali senza lasciarsi travolgere dal flusso del dicono che, l’obiettivo di RiData. Centrare in maniera concreta ed esatta le criticità e le potenzialità della provincia reatina, per poi lavorarci su ed affinare il tiro.

E il patinato e snello libricino verde voluto dalla Chiesa di Rieti mette nero su bianco questi dati, magari per commentarli in famiglia e capire insieme come siamo messi davvero, a Rieti. E non siamo messi così male.