Operatori Asm, Don Domenico: «Popolo “povero e umile” che salva la città dalla distruzione»

«Guai alla citta ribelle e impura, alla citta che opprime! Non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio». È partita da queste parole del profeta Sofonìa la riflessione del vescovo Domenico durante la Messa celebrata con i dipendenti e la dirigenza dell’Asm, nel piazzale della sede aziendale di via Tancia, alla presenza del sindaco Simone Petrangeli.

Nel testo biblico si parla delle grandi città del tempo che vengono rase al suolo: sembra che solo Gerusalemme resista. «Ma il profeta – ha spiegato mons. Pompili – non esita a dire alla sua gente che anche per Gerusalemme il destino è segnato se non ci si renderà tutti conto che la possibilità di evitare il fallimento è legata ad un popolo povero e umile, ad un “resto”. Sarà quello che consentirà alla città di non soccombere».

Un popolo che don Domenico ha riconosciuto proprio nei lavoratori dell’azienda municipalizzata: «non stiamo parlando di una grande realtà economica, neppure del “top” di alcuni personaggi che si muovono nella grande finanza. Stiamo parlando di persone che svolgono un servizio che a prima vista definiremmo “povero e umile” con una accezione un po’ negativa. Ma il profeta fa affidamento proprio su questo “resto”, e non sui maggiorenti del suo tempo».

Un parallelo che secondo il vescovo riscatta i lavoratori Asm «anche rispetto a quel senso di frustrazione e di inutilità» che talvolta accompagna l’espletamento di alcuni servizi, perché proprio a questi che «viene affidata la possibilità di salvare la città dalla distruzione». Girando ai lavoratori l’intuizione di Sofonìa, mons. Pompili ha infatti sottolineato che la possibilità di non soccombere è legata esclusivamente al senso di concretezza di quelle persone che svolgono il proprio compito, per quanto umile, con maggiore consapevolezza: «perché il lavoro ha una qualità che non dipende mai dall’oggetto, ma sempre dal soggetto. Se noi non ritorniamo a questa consapevolezza saremo sempre schiavi di quelli che sono gli idoli del momento, per cui le cose valgono a seconda di quello che sembra tirare in una certa epoca storica. Invece no: il lavoro vale per l’uomo. È l’uomo che nobilita il lavoro, non il contrario».

Il «cambiamento che evita alla città di soccombere» è allora nelle mani di ciascuno: dell’azienda municipalizzata, che «se vuole convertirsi deve essere capace di realizzare quello per cui è costituita», ma anche dei singoli lavoratori, chiamati nel proprio lavoro a ritrovare «il sano orgoglio per ciò che si sta facendo, il coraggio per superare abitudini per cui si tende a fare lo stretto necessario, “il minimo sindacale”», e puntare a fare sempre meglio «perché la città possa beneficiarne».

In fondo, ha concluso don Domenico, «se la città non soccombe è perché c’è un popolo minuto, fatto di persone concrete, che tirano avanti la carretta ogni giorno».