Ognissanti: che la vita eterna sia desiderabile

“Eterno” suscita l’idea dell’interminabile, del ripetitivo che annoia. Invece, deve tornare a essere un annuncio, capace di orientare l’esistenza terrena, la vita quotidiana. L’eternità sarà il momento “dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più”. Un tuffarsi in Dio, così da essere sopraffatti dalla gioia.

Forse nessuna festa come quella di “Tutti i Santi” o nessun ricordo come quello della Commemorazione dei defunti pongono davanti a ciascuno la domanda seria: dove andremo dopo questa vita? O, più radicalmente: c’è qualcosa dopo la morte? I credenti hanno ricevuto su questo una parola certa, cui guardare con fiducia e il Vangelo insegna che cosa aspettare con gratitudine.
L’attesa di un dopo è inscritta nel cuore di ognuno: l’uomo avverte che non può finire tutto con questa vita; sente di aspirare a qualcosa di più. Certamente, non riusciamo ad immaginare come deve essere in realtà la vita dopo la morte, ma sentiamo che c’è. Qualcosa in noi lo testimonia, lo attesta. Non è frutto della nostra immaginazione, ma piuttosto è la prova che Dio ha messo nel cuore dell’uomo la nozione dell’eternità (cfr. Qoelet 3,11). Sì Dio, dopo aver creato nel mondo bella ogni cosa, ha posto nell’uomo la chiamata a qualcosa di più. S. Agostino a questo proposito ha scritto “c’è dunque in noi, per così dire, una dotta ignoranza” (Lettera a Proba). Da soli non sappiamo che cosa ci sia dopo questa vita, ma siamo certi che qualcosa ci sia.
Questo qualcosa è quello che noi chiamiamo “vita beata” o “vera vita”. “La vera vita è quella – dice ancora S. Agostino – al cui confronto questa nostra, da noi tanto amata, per quanto piacevole e lunga, non merita d’essere chiamata vita”. E, ancora: l’unica vera vita, la sola beata è “il poter contemplare, immortali per l’eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito le delizie di Dio”. L’uomo è stato creato per questa beatitudine e si realizza pienamente solo così. Ecco perché i beni terreni possono essere di conforto, ma non offrono al cuore dell’uomo la pienezza che solo quelli eterni possono dare. Sbaglia l’uomo quando considera le ricchezze, le sicurezze umane, gli onori, i piaceri come la propria realizzazione. Questi possono esserci, ma si possono anche perdere; se ci sono, devono servire come mezzi per compiere il bene agli altri. Si confonde l’uomo quando considera i beni materiali come il fine della propria esistenza, come se questi offrissero la vita beata. No questa sta altrove!
Cerca l’uomo la vita vera, la vita beata? Ecco è il punto. Dio ha messo nel cuore dell’uomo il pensiero e il desiderio dell’eternità, ma questi talvolta sembrano ormai spenti. Forse a motivo di una cattiva comprensione del concetto stesso di eternità. Essa sarebbe un continuo susseguirsi di giorni del calendario, un prolungamento all’infinito delle nostre attività e relazioni. Basti pensare che il paradiso viene talvolta presentato come una continuazione materiale di questa vita, come il luogo dove le famiglie si riuniscono al sicuro per sempre. “Vita eterna” è oggi una parola insufficiente e crea confusione; “eterno” suscita l’idea dell’interminabile, del ripetitivo che annoia. Così, l’annuncio della vita eterna per molti è divenuta un’informazione, che può essere messa accanto alle tante che si possiedono su svariati argomenti.
Invece, deve tornare ad essere un annuncio, capace di orientare l’esistenza terrena, la vita quotidiana. L’eternità sarà il momento “dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più” (Spe salvi, 12). Questo momento, giorno che non tramonta, è la vita in senso pieno; un tuffarsi in Dio, così da essere sopraffatti dalla gioia. Sarà lo svelamento della condizione definitiva di figli, abbracciati tutti dall’amore del Padre. Se è questa, la vita eterna torna ad essere desiderabile!