12. Octogesima Adveniens: l’aggiornamento che volle Paolo VI di fronte al mutamento

Il documento che con questo numero inizieremo ad approfondire non è un’Enciclica, ma una lettera apostolica che papa Paolo VI indirizzò al Presidente della Commissione “Giustizia e Pace” il 15 maggio del 1971.

Con essa da una parte si ricordava l’ottantesimo anniversario della “Rerum Novarum” di papa Leone XIII, dall’altra, solo dopo quattro anni dalla “Populorum Progressio”, s’intendeva fare il punto della situazione in riferimento ad una trasformazione storica in atto che occorreva cogliere e interpretare vista la rapidità con cui si manifestava. Capire il messaggio, potremmo dire l’aggiornamento, vista la vicinanza con l’Enciclica appena citata, della lettera apostolica, non è possibile se non ci si confronta con il quadro storico a cui fa riferimento. Le tensioni sociali erano del tutto evidenti: il processo di industrializzazione stava subendo una rapidissima accelerazione mettendo in discussione equilibri economici e politici in tutto il mondo, a fronte di nuove industrie che fiorivano in varie parti del mondo, altre fallivano miseramente portando crisi e disoccupazione; territori tradizionalmente dedicati ad un certo tipo di economia venivano radicalmente e velocemente convertiti ad altri settori produttivi lasciando sul terreno tradizioni, usi e costumi ormai non più ritenuti capaci di reggere il confronto con le sfide economiche del futuro. Industrie chiudevano in alcune zone del mondo per riaprire in altre dove le condizioni del mercato del lavoro erano diverse e più favorevoli. Per non parlare dei terribili conflitti che imperversavano in Vietnam e in Israele: le geometrie politiche post seconda guerra mondiale si stavano consolidando per un ordine mondiale non certo a favore dell’unione e la pace tra i popoli ma rafforzando i più forti a scapito dei più deboli. Anche rispetto alla convivenza umana e al riferimento ideologico le novità non mancavano: dal ’68 italiano alle rivendicazioni operaie negli Stati Uniti, dal fallimento della “Primavera di Praga” all’uccisione di Martin Luter King. La sfida che l’umanità aveva davanti era davvero importante perché riguardava il modo di impostare il suo stesso futuro. In sintesi potremmo dire che il classico conflitto tra capitale e lavoro aveva preso una nuova e più complessa veste: il conflitto tra la capacità culturale e morale propria dell’uomo veniva sollecitata a confrontarsi con una nuova realtà economica, politica e sociale da gestire e dominare, diretta conseguenza del progresso tecnico e tecnologico guidato dalla stella polare del profitto. Il cammino era già segnato, si trattava di capire quale strada prendere e soprattutto come percorrerla. Ecco l’aggiornamento a cui la “Octogesima Adveniens” intende riferirsi e non sorprende quindi che i “Nuovi problemi sociali” siano i primi grandi temi affrontati da papa Polo VI. In queste pagine cercheremo di approfondire le indicazioni riportate nella lettera apostolica, confidando nel dono della sintesi e della chiarezza, a partire dal tema dall’urbanesimo, argomento con cui il papa apre la sua riflessione. Egli fa subito notare che non si tratta di un fenomeno proprio dei paesi sviluppati ma anche presente nelle nazioni meno industrializzate, in ogni caso è il segno del declino di un mondo e di un modo di interpretare il mondo, quello veicolato dalla civiltà agricola. Ecco quindi la prima sollecitazione: ci si è interrogati sugli effetti di politiche economiche che depotenziano una cultura, quella rurale nella fattispecie, solo perché nel breve periodo sembra più redditizio imboccare altre strade che promettono utili migliori? A tal proposito vengono in mente le migliaia di persone strappate ad un’economia agricola millenaria a favore di industrie e fabbriche che nel giro di qualche decennio chiudono. Vale la pena stravolgere un territorio, depotenziando un settore economico, invece di aiutare a far convivere più economie, tutte importanti, tutte capaci di creare speranza e futuro? Oggi sono sotto gli occhi di tutti gli effetti di scelte scellerate che hanno interrotto economie forti e fiorenti in diverse parti d’Italia e del mondo e ancora si continua a scegliere in questo modo: l’industria alla fine chiude, se va bene, dopo scioperi e lotte sindacali, se la situazione politiche lo permette, nonché drammi sociali e familiari, solo alcune imprese vengono convertite, il resto dei lavoratori ha reciso da tempo il legame con le proprie origini e si ritrova solo e senza radici: cosa rimane se non spostarsi e sperare di trovare lavoro altrove? La difficile ricerca di un equilibrio che nasce da un’attenta valutazione della novità e la valorizzazione del passato, è la strada che permette di non cedere a facili guadagni, la porta larga, e conservare la dignità di ogni uomo, unica possibilità di progettare un futuro di speranza, ma questa è la porta stretta.