Chiesa di Rieti

Occorre reagire insieme, senza mai dividersi

Quarantaquattro anni fa il terribile terremoto del Friuli, un triste anniversario che il vescovo Domenico ha voluto ricordare nella sua riflessione di ieri sera: «L'augurio è che anche qui da noi si acceleri verso uno Stato più snello e veloce, ma anche verso cittadini più partecipi e creativi»

Il 6 maggio 1976, poco dopo le 21, un terremoto di magnitudo 6.5 della scala Richter colpì il Friuli, radendo quasi al suolo i paesi di Gemona, Venzone, Buja e Majano, e causando quasi mille morti con circa ottantamila sfollati. Ma quel 6 maggio, il colpo di grazia non era ancora arrivato. il 15 settembre successivo infatti un’altra scossa fece crollare definitivamente il campanile di Venzone e i pochi muri rimasti in piedi.

Un triste anniversario da cui il vescovo Domenico ha tratto spunto per un parallelo con le nostre terre.

«Quando le speranze sembravano ormai sepolte partì la ricostruzione, con il cosiddetto “Modello Friuli”, che numerò ogni pietra per rimettere in piedi non solo i monumenti, ma anche le case di ciascuno. Ovviamente non avvenne tutto in un baleno. Il duomo di Venzone, che insieme a quello di Gemona è un po’ il simbolo della ricostruzione friulana, iniziò l’iter di catalogazione delle pietre nel 1982. Nel 1988 partì il cantiere e nel 1995, diciannove anni dopo il terremoto, fu consegnato alla città»

«Ricordare il terremoto del Friuli non è solo un atto dovuto, ma anche una speranza concreta che non deve mai abbandonarci, anche se non registriamo ancora i risultati sperati. Occorre però non dimenticare il pregio del “Modello Friuli”, a cui collaborarono diverse cause, due fra tutte: innanzitutto lo Stato, che si impegnò direttamente con la nomina di un Commissario che agì in deroga a tutte le leggi, comprese quelle sulla contabilità generale. E poi, i friuliani stessi, nelle cui vene scorre sangue asburgico. Furono cittadini che si dimostrarono attivi, non passivi».

«L’augurio è che anche qui da noi, dove complice anche l’epidemia si registra un’ulteriore battuta di arresto, si acceleri sia nella direzione di uno Stato più snello e veloce, ma anche nella direzione di cittadini più partecipi e creativi», ha concluso monsignor Pompili.

«Una cosa insegnano tragedie come queste: occorre reagire insieme, non da soli, e farlo tutti dalla stessa parte, e mai dividendosi. La preghiera è che il tempo che passa non indebolisca, ma alimenti, il desiderio di rigenerare la nostra terra, ancor di più facendone un’occasione di sviluppo dopo questa crisi epidemica».