Note sull’Ottobre Missionario / 2

Ogni Chiesa, sensibile al mandato di Cristo, sente la necessità e l’urgenza di preparare missionari da mandare fuori dai confini del Paese, per svolgere il loro servizio apostolico altrove; oggi persino giovani chiese inviano missionari in terre di antica evangelizzazione.

Condividere la responsabilità missionaria della Chiesa universale da parte della Chiesa locale che sa anche donare i suoi figli, è segno di maturità e apertura, e convinzione che «la fede si rafforza donandola» (RM).

Le Chiese locali, per lungo tempo nel continente africano o asiatico, sono state fondate a prezzo di grandi fatiche; talora con l’offerta stessa della vita; oggi, a loro volta, sono divenute missionarie oltre i loro confini.

Abbiamo bisogno di questo scambio di doni; ogni Chiesa deve insieme accogliere e mandare, in una cooperazione che costituisce un arricchimento reciproco. Che il personale straniero sia un dono per la nostra Chiesa locale è fuori di ogni dubbio. Che tutto questo costituisca sempre più la vera cooperazione missionaria deve costituire un impegno costante.

La nostra Chiesa che non si apre alla missione ad gentes, ha scritto Giovanni Paolo II «intristisce e muore». Solo pochi anni fa dalle nostre comunità partivano missionari per il mondo, adesso molte parrocchie sono prive di preti.

Di fronte a questa situazione si corre il rischio di chiuderci nell’orizzonte ristretto dei nostri problemi; proiettiando invece lo sguardo sull’orizzonte del mondo, «nella missione Ad gentes la parrocchia troverebbe una risorsa per la pastorale, un sostegno alle comunità nella conversione di obiettivi, metodi, organizzazioni, e nel corrispondere con la fiducia al disagio che esse avvertono» (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia).