Non voglio più vedere quegli occhi di scherno

Agosto 2008: mi trovo a Vilnius, l’antica Gerusalemme del Nord Europa. Con mio padre decidiamo di prendere un treno con destinazione Ponar, dove in pochi giorni – con l’entusiastica collaborazione di corpi e volontari locali – i nazisti uccisero con un colpo alla nuca decine di migliaia di ebrei lituani. Noi, figli dell’Europa ashkenazita incontriamo giovani che ridacchiano e mormorano “zydow” (“ebreo”)…

Memoria è vita, Memoria è speranza, Memoria è futuro. Non una celebrazione vuota e retorica ma il rinnovamento, ogni giorno, di un patto con le nuove generazioni affinché cresca la consapevolezza e gli orrori del passato non abbiano a ripetersi. Quanto quel patto sia importante me ne sono accorto, in tutta la sua evidenza, qualche estate fa.

Agosto 2008: mi trovo a Vilnius, l’antica Gerusalemme del Nord Europa. Con mio padre decidiamo di prendere un treno con destinazione Ponar, località periferica immersa nel verde dove in pochi giorni – con l’entusiastica collaborazione di corpi e volontari locali – i nazisti uccisero con un colpo alla nuca decine di migliaia di ebrei lituani. Leggiamo sulla mappa che, tra quei boschi idilliaci, sorge un memoriale in ricordo della carneficina. Da figli dell’Europa ashkenazita con un po’ di sangue baltico nelle vene, sentiamo entrambi l’obbligo di esserci.

Scendiamo dal treno, nessuna indicazione per il memoriale (che pure dovrebbe essere a poche centinaia di metri). Tutto intorno il verde e qualche edificio. Ci sono dei ragazzi, hanno più o meno la mia età. Chiediamo loro informazioni, in risposta li sentiamo mormorare “zydow” (“ebreo”). Ridacchiano, fanno finta di non capire, ci prendono in giro. Sorseggiano vodka – di prima mattina – e ci fissano con disprezzo. Mio padre sembra volerli sfidare, io sono più prudente e fortunatamente riesco a farlo desistere da questo folle proposito.

In qualche modo, non senza ulteriori complicazioni, riusciremo poi a raggiungere la nostra meta. Esulando dal vissuto personale, resta però il fatto che io quegli occhi non voglio più vederli. Occhi vitrei, occhi di scherno, occhi di chi non ha nessuno scopo per cui vivere se non quello di ubriacarsi fino allo stordimento. Quegli stessi occhi, 70 anni fa, erano capaci di venderti per pochi spiccioli o per un alcolico ad alta gradazione.

Questo episodio mi è tornato in mente la scorsa settimana in occasione del Viaggio della Memoria organizzato dal ministero dell’Istruzione con il supporto dell’Ucei. Coinvolti, oltre un centinaio di studenti delle scuole italiane. A far loro da guida tre testimoni dell’orrore di Auschwitz-Birkenau: Sami Modiano, le sorelle Andra e Tatiana Bucci. Con loro anche un’altra donna straordinaria, Marika, compagna di una vita dell’ex sonderkommando Shlomo Venezia. Mentre i Testimoni parlano, io mi guardo attorno. Senza dare troppo nell’occhio, cerco di cogliere nei volti di chi ascolta le emozioni mentre affiorano dal profondo. E così, con imbarazzo, mi ritrovo a seguire la traiettoria di una lacrima o di mani che si stringono cercando un conforto impossibile. Penso a Ponar e a quell’orrendo momento di incomunicabilità. E, per un momento, la mia angoscia è più leggera.