Non tutti i Charlie sono uguali

Dopo l’assalto alla redazione del giornale satirico francese «Charlie Hebdo», anche nella piccola città, da qualche giorno, sono tutti Charlie. Moltissimi sicuramente per convinzione; altri, forse, per omologazione e voglia di esserci. Ma se è per opporsi alla violenza, al terrorismo e all’estremismo va bene comunque.

È giusto che ciascuno a suo modo testimoni con la propria personale sensibilità la consapevolezza di quanto la violenza sia ancora padrona di troppi angoli del mondo. L’11 gennaio a Parigi una folla immensa ha gridato silenziosamente il suo “no” alla barbarie del terrorismo islamista. Proprio mentre in Nigeria si dipanava un’altra pagina di orrore: due bimbe kamikaze di 10 e 15 anni si sono immolate in un mercato, provocando sette morti e 48 feriti. Uno scenario che si è ripetuto anche nei giorni successivi secondo il macabro rituale di Boko Haram, un’altra temibilissima formazione terrorista islamica.

Se davvero amiamo la pace, dovremmo domandarci il perché di tanto odio. Senza risposte precostituite, ma cercando di scardinare anche con l’analisi questa incomprensibile violenza, questa cieca prevaricazione, questa dissennata malvagità.

La fiaccolata promossa da Comune di Rieti, Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo, Comunità Islamica, Movimento Cristiano Lavoratori e Fondazione Amici del Cammino di Francesco in ricordo delle vittime francesi e in nome della tolleranza, del dialogo e della fratellanza tra i popoli in programma per venerdì 16 gennaio a Rieti, oltre che un momento di preghiera comune, potrebbe anche essere un’occasione per discutere di queste cose.

Magari insieme al tema della libertà d’espressione. I vari Charlie ne sono tutti strenui sostenitori. Dietro c’è la vecchia idea volteriana: anche quando non sono d’accordo con quel che dici (o disegni) mi batterò perché tu lo possa dire e pubblicare. Si può essere il primo dei non “charlisti” solo se «Charlie Hedbo» può dire la sua.

Messa giù così pare semplice, ma la realtà è sempre complicata. E la libertà di espressione bisogna pure saperla usare in modo intelligente. Altrimenti si corre il rischio di cadere nell’arbitrio, nell’insulto gratuito, o peggio ancora nella propaganda.

In fondo a loro modo erano satiriche pure le vignette dei nazisti sugli ebrei. Eppure a vederle oggi ci danno fastidio e disgusto. Perché le cose dovrebbero essere diverse quando ad essere vittima della caricatura sono la fede e la vita di miliardi di musulmani o di cristiani?

Forse è vero che solo i bigotti e i fanatici se la prendono, ma il problema non è mai solo di chi legge. Non sempre, infatti, la rozzezza squinternata coincide con l’arte. Il che non vuol dire che certe cose non bisognerebbe dirle o disegnarle. Va però riconosciuta la difficoltà di camminare sempre sul limite tra la volgarità e il rispetto della sensibilità altrui. E se in qualche caso c’è lo scivolone, se la vignetta somiglia più al rutto che alla parola, vale la pena ammetterlo. Anche perché – a modo suo e con i suoi strumenti – la satira dovrebbe pur sempre essere uno strumento per la ricerca della verità, un tentativo di uscire fuori dall’ideologia. Altrimenti la libertà non serve a nulla.

Se tanti sedicenti Charlie di oggi lo tenessero a mente sarebbe già qualcosa.