Non basta una mano di bianco

Con tutto quello che sta succedendo in fatto di soldi e politica è facile essere scandalizzati. L’indignazione è il sentimento più immediato che si prova. Ma la realtà è complicata e la faciloneria di rado dà buoni frutti.

Per dare un contributo, allora, proviamo a lasciar perdere il sentimento di rifiuto. Partiamo invece da un sentimento di pietà. Proprio perché hanno per soggetto una inquietante mole di denaro, quelle che emergono sono storie di profonda miseria. Una miseria umana e intellettuale, dunque politica. La stampa degli ultimi giorni ha narrato storie di persone piccole, prive di qualunque spessore.

Non avendo nulla da dire, da proporre, da immaginare, hanno risolto il problema della rappresentanza con i soldi. E ci sono riusciti facilmente: hanno potuto comprare il consenso perché l’elettorato lo ha venduto a basso prezzo. “Miseri” gli eletti e “da poco” gli elettori verrebbe da dire. Peccato, però, che la questione non si possa risolvere con l’elogio della mediocrità.

Il modo in cui si è arrivati alle dimissioni della governatrice del Lazio pone l’accento sull’urgenza di trovare una classe dirigente capace. Dovremo fare uno sforzo: il gusto per la clientela, il favore e il privilegio, diffuso trasversalmente nella nostra cultura, non può ancora essere di ostacolo.

Negli anni del benessere il carattere italiano era lo stesso: nel nostro Paese certi atteggiamenti sono un vizio radicato. Ma questo non ha impedito buoni risultati. Non c’è da rimpiangere un’età dell’oro, ma nei decenni passati sono state costruite buone infrastrutture pubbliche e messi in funzione servizi sociali dignitosi. I salari erano adeguati, il lavoro rispettato, la miseria combattuta. La politica aveva una qualche decenza, ma anche la vita democratica e civile era improntata ad una maggiore partecipazione e consapevolezza. Viene da domandarsi se i buoni risultati non fossero il frutto di lotte sociali, di un’opinione pubblica indipendente, di scontri nella dialettica democratica.

Prima di guardare alle tangenti e alle ruberie, occorrerebbe guardare alla corruzione di quelle dinamiche. La vecchia classe dirigente venne spazzata via dagli scandali degli anni ‘90. Rimase vittima della propria avidità. Ma cosa fece la società nel suo insieme per arginarla? E cosa fa oggi? Invece di migliorare ci siamo affidati a personaggi ignobili, ad un manipolo di ignoranti. Essere i migliori, tra di loro, vuol dire essere i meno peggio. Va bene sentirsi storditi. Il colpo è stato micidiale. Ma pure le dimissioni nelle file della minoranza in Regione sono state tardive. Senza “Laziogate” neanche il più colto ed etico dei consiglieri avrebbe alzato la testa dalla mangiatoia.

Inutile scandalizzarsi. È un sentimento che non consola né dà risposte. Lasciamo stare pure la rabbia: la prova chi è debole e senza strumenti ed è pure pericolosa. Cerchiamo invece di capire perché ci siamo pacificamente rassegnati al peggio, affidati a persone che fanno dei soldi la propria morale. Forse meritiamo tutti la compassione che si deve agli incapaci: chi vota e chi è votato. Ma gli eletti si possono mandare via a testa bassa, gli elettori, pur con la testa bassa, rimangono.

Cosa voteremo adesso? Qual è il freno? All’orizzonte non si intravede una nuova classe dirigente, corretta e capace, ma qualche passo in avanti lo possiamo fare. Il richiamo morale della Chiesa è importante, ma non basta. Ormai abbiamo introiettato l’idea di una equivalenza tra Stato e Casta, tra istituzioni e corruzione. Non riusciamo neppure ad immaginare un Parlamento, una Regione, un Consiglio abitato da gente degna. Per garantire un futuro credibile alle nostre istituzioni ci vorrà un po’ più di una mano di bianco. Sta diventando urgente ragionare di cose che abbiamo un po’ troppo messo da parte: i rapporti di forza nella società, i conflitti tra le identità sociali, i luoghi e gli strumenti della loro soluzione.

È un compito di lungo periodo. Non bastano di certo le dimissioni della Polverini a rimettere a posto le cose. Ma forse sono l’occasione buona per cominciare.