Noi, quella “spuzza non la sopportiamo più

Sembra possa andare finalmente in porto l’accidentato percorso parlamentare della cosiddetta legge “anticorruzione”. È un passaggio importante, anche perché aumentare le pene e soprattutto assicurarne la certezza rappresenta uno degli ingredienti fondamentali del processo di riassetto e di rilancio della democrazia, ovvero delle “riforme” che ci stanno davanti.

La corruzione “spuzza”: con la “esse” davanti, quasi a sottolineare il concetto, ha ripetuto il Papa a Scampia. “Spuzza” da due punti di vista, quello spirituale e quello sociale, due facce, necessariamente connesse, della stessa medaglia. “Spuzza”, come un animale morto. Anche se purtroppo la corruzione sembra viva e vegeta, a leggere le cronache: scoperta in un settore, ricompare in altro.
Per uscirne papa Francesco ha ripreso la formula di san Giovanni Bosco: buoni cristiani e onesti cittadini. Perché il Papa è così: il suo messaggio è semplicissimo, dunque modernissimo.
Sembra possa andare finalmente in porto l’accidentato percorso parlamentare della cosiddetta legge “anticorruzione”. È un passaggio importante, anche perché aumentare le pene e soprattutto assicurarne la certezza rappresenta uno degli ingredienti fondamentali del processo di riassetto e di rilancio della democrazia, ovvero delle “riforme” che ci stanno davanti. Ma per raggiungere questo obiettivo, occorre inserirla in un quadro. Da sola la legge non basta.
Il singolo corrotto infatti chiama una catena. Perché mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia, come ha detto don Ciotti all’annuale manifestazione di Libera, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie da tutte le mafie.
Se la corruzione necessariamente richiama un contesto, una catena, questa catena deve essere spezzata. Servono dunque strumenti culturali, morali, economici e istituzionali. Altrimenti, semplicemente, cucita una toppa, lo “sbrego” si ripresenta, come si è visto per i grandi lavori. Senza scomodare le mafie classiche, in tanti contesti, si pensi alle “terre di mezzo” di Roma, si costruiscono spezzoni di sistemi corruttivi e dunque mafiosi, che si chiudono e si riaprono a fisarmonica.
Per questo bisogna interrogarsi sul tono complessivo del sistema politico-istituzionale, mentre si parla giustamente di riforme.
Bene dunque le pene e le nuove fattispecie di reato. Bene che si approvi una legge seria, rigorosa e concreta, se possibile con un ampio consenso.
Ma questo passo deve essere accompagnato da un altrettanto serio intervento sul sistema politico amministrativo. È un sistema malato quello che deve fare ricorso ad autorità, a quelli che negli Stati Uniti si chiamano gli “zar”, ovvero funzionari o magistrati dotati di poteri eccezionali, per garantire un minimo di decoroso funzionamento. Non possono essere che espedienti momentanei.
Decisivo più che mai è il nesso politica-amministrazione, ovvero sistema politico – sistema amministrativo. Nell’arco di poco più di vent’anni il vecchio quadro dell’amministrazione di carriera è stato smantellato a profitto di una “aziendalizzazione” che, combinata con la debolezza e la modestia del personale politico, in molti casi – emblematico proprio quello oggi sotto i riflettori delle grandi opere – ha aperto praterie per il malaffare.
Una “spuzza” che non ci possiamo più permettere e che non sopportiamo più.