Il Nobel a Modiano “per l’arte della memoria”

Se bastasse parlare del passato per diventare come l’autore del “Tempo ritrovato”, ci sarebbe un’invasione di tanti piccoli Marcel. Di Proust invece ce n’è stato solo uno, e Modiano è Modiano, punto.

“Al pensiero di ciò che sarebbe potuto essere e non era stato, veniva colto da una vertigine”.
Dire, come alcuni hanno fatto, che Patrick Modiano, fresco Nobel per la letteratura, è il Proust dei nostri giorni non sta in piedi, non fosse altro per la diversità dei tempi (la Recherche inizia negli anni Dieci del Novecento, il primo romanzo di Modiano è del ’68) e delle personalità, umane e letterarie. Se bastasse parlare del passato per diventare come l’autore del “Tempo ritrovato”, ci sarebbe un’invasione di tanti piccoli Marcel. Di Proust invece ce n’è stato solo uno, e Modiano è Modiano, punto.
Lo scrittore, nato a Boulogne-Billancourt, non distante da Parigi, nel 1945, è un romanziere del suo tempo, anche perché la sua opera sconfina in altre espressioni artistiche tipiche di quel tempo: il cinema e la canzone d’autore. Chi non è più giovanissimo ricorderà Francoise Hardy, soprannominata la cantante scalza per il vezzo di esibirsi a piedi nudi, che ebbe il suo momento di notorietà negli anni Sessanta: il premio Nobel 2014 collaborò con lei per alcuni dei testi delle canzoni, come ha collaborato con il regista Louis Malle scrivendo la sceneggiatura del film “Cognome e nome: Lacombe Lucienne”. Come si vede, un figlio del suo tempo, in un momento in cui l’esistenzialismo, ormai al tramonto, aveva però portato in dono la possibilità dell’arte di essere veicolata non più soltanto dalle discipline “alte”, come la letteratura e la pittura, ma dalle nuove forme di espressione novecentesche: la canzone d’autore e il cinema.
L’azzardato accostamento a Proust è dovuto al fatto che alcuni suoi romanzi sono legati alla memoria, alla ricerca di se stessi nella storia individuale e in quella collettiva. Al di là, questo è uno dei pregi di Modiano, di facili mitologie legate alla divisione manichea tra buoni e cattivi. Anche nella sceneggiatura di “Lacombe Lucienne” emerge la capacità di sondare i recessi dell’animo umano e di chiedersi perché alcuni giovani siano divenuti collaborazionisti, scegliendo di stare al fianco dei nazisti che deportavano o uccidevano gli ebrei. Ed ebreo era il padre di Modiano, anche lui coinvolto, per sopravvivere, in una vicenda di collaborazionismo. Ecco perché nella motivazione dell’Accademia Reale Svedese c’è scritto che il premio è stato attribuito a lui “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili”: perché non si è fermato alla superficialità del giudizio del poi, ma si è inabissato nell’animo di coloro che hanno scelto di stare dalla parte sbagliata anche quando essa svelava la sua radicale appartenenza al male.
Sia che trattino il presente, sia che si rivolgano al passato oscuro e ancora dolente di una storia non completamente tramontata, i romanzi di Modiano si interrogano sul passato. È una sorta di compensazione, per una infanzia che i genitori, presi da altri “interessi”, delegarono ad altri, amici, parenti, pensioni, comunque un qualcosa di radicalmente diverso rispetto agli affetti dovuti a un bambino.
La ricerca di Modiano in “Rue des boutiques obscures”, che ha vinto tra l’altro il prestigioso premio Goncourt o “Dora Bruder”, tradotto in italiano e a sua volta vincitore della sezione La Quercia del premio Bottari Lattes Grinzane, non è altro che l’interrogarsi di un passato cancellato dalle risposte individuali, quelle dei genitori, ad un evento collettivo che ha causato non solo morte e distruzione, ma dolorosi distacchi familiari.
Chi fosse scandalizzato perché si aspettava altra scelta da Stoccolma, può contentarsi, perché Modiano, anche se non era tra i nomi più gettonati, ha mostrato una notevole capacità di stare dentro l’animo umano attraverso una memoria che non è mai ricostruzione meccanica degli eventi, ma costante ricerca di senso della vita.