Nell’andare “oltre” riconoscere l’altro

È la traccia lasciata dal “Festival delle religioni”. La famiglia umana che ci proporrà l’assise di novembre non sarà segnata dall’omologazione e dall’uniformità, ma dalla bellezza e dalla “convivialità delle differenze”, come diceva Tonino Bello: differenze di generazioni e di popoli, che esprimono legami di figliolanza e fratellanza.

Firenze città del dialogo. Firenze città di Giorgio La Pira e dei “Colloqui del Mediterraneo”, ma prima ancora, ben più lontana nel tempo, Firenze città del Concilio dell’unione fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. Da un anno a questa parte anche città del “Festival delle religioni” la cui seconda edizione, nei giorni scorsi, con l’intento di gettare il pensiero “oltre”, oltre l’ostilità e i preconcetti per trovare nuove vie di confronto e consonanza, sembrava guardare anche al Convegno ecclesiale nazionale, a quel “Nuovo umanesimo” che, come ci ricorda la “Traccia”, non è un modello monolitico, bensì un termine che si declina al plurale.
La famiglia umana che ci proporrà l’assise di novembre non sarà segnata dall’omologazione e dall’uniformità, ma dalla bellezza e dalla “convivialità delle differenze”, come diceva Tonino Bello: differenze di generazioni e di popoli, che esprimono legami di figliolanza e fratellanza.
Il dialogo vero si fonda sul rispetto e la fede spinge al dialogo, che non significa rinunciare a ciò che si è e a ciò che si crede. La prospettiva umana, inevitabilmente relativa alla storia, alla cultura, alla situazione in cui ciascuno vive, non deve essere confusa con un relativismo che tutto omologa e tutto mette sullo stesso piano. C’è la necessità, proprio per dialogare con credenti e non credenti, di mostrare nei fatti, da cristiani, che la verità è relazione.
È arrivato il momento, per dirla ancora con il “Festival delle religioni”, di andare “oltre”, di prendere coscienza non solo della pluralità dell’esistenza, ma di riconoscere il nostro volto in quello di chi ci sta di fronte. Un’apertura all’accoglienza quanto mai necessaria in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, che richiede di essere lucidi e di assumere un atteggiamento interiore che prima di tutto cerchi di capire per individuare la via migliore, la strategia vincente.
Un verbo di “Firenze 2015”, che non è tra le cinque “vie”, ma che rappresenta uno dei concetti più belli e significativi, è “gustare”, ovvero un “sentire con la bocca”, ma anche una conoscenza intima, come quella del bambino che conosce la mamma anzitutto attraverso la dolcezza del latte, prima ancora di metterla a fuoco con gli occhi. Quando la “vedrà”, lo sguardo non sarà neutro o estraneo a cioÌ che ha gustato, bensì già colmo del sapore dell’affetto e della gratitudine. Uno sguardo grato vede diversamente, vede anche l’invisibile, perché potenziato dall’amore. Questo è il “gusto per l’umano” e, di conseguenza, gusto per il dialogo, la conoscenza e l’accoglienza.
Firenze con la sua storia e i suoi luoghi potrà dare anche in questo senso un contributo alla riflessione dei delegati al Convegno ecclesiale. “Firenze – scriveva La Pira a Montanelli – ha una propria universale missione nel sistema della civiltà cristiana ed umana: essa inserisce, infatti, nel dinamismo così attivo del mondo moderno un elemento equilibrato di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace: essa costituisce per gli uomini di tutti i continenti, come una riserva pura, un’oasi delicata, che ha per tutti un dono di elevazione, di proporzione e di misura. Ecco perché Firenze appartiene, in certo modo, a tutti i popoli e a tutte le genti”.
C’è da augurarsi che Santa Maria del Fiore, come in quel lontano 1439 del Concilio, viva, nell’incontro con Papa Francesco, un altro avvenimento importante per la città e, se non proprio per la cristianità intera come allora, almeno per la Chiesa italiana.