Naufragi: settecento immigrati morti in pochi giorni, guai a farci l’abitudine

Francesco Montenegro, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni: “Qui ci vuole una organizzazione diversa, scelte politiche diverse, una Europa diversa. Non bastano solo le navi che pattugliano. Frontex plus avrà o no il ruolo di salvare vite umane? E se non lo avrà, cosa succederà? Guarderà e filmerà?”. E ancora: “Quando i popoli si muovono la storia è sempre cambiata”.

È una tragedia senza fine che assume i contorni inquietanti di un omicidio di massa. Una tragedia che prosegue nella quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica italiana ed europea: 200 migranti dispersi ieri sera per il naufragio di un barcone al largo della costa libica, altri 500 annegati a 300 miglia dalle coste di Malta la scorsa settimana, a causa dello speronamento da parte di un’altra imbarcazione di trafficanti, per punirli di una ribellione. Le cause del naufragio della scorsa settimana, sul quale sta investigando la polizia, sono state riferite dagli unici due superstiti, due ragazzi palestinesi, salvati da un mercantile panamense. Racconti strazianti: i due sono rimasti a galla grazie a mezzi di fortuna e hanno visto annegare gli altri – molte donne e famiglie con minori da Siria, Palestina, Egitto, Sudan – che non hanno retto alla fatica. Tra questi, un bambino egiziano partito per cercare di inviare a casa i soldi per pagare le cure al padre, gravemente malato di cuore. Sarebbero quindi più di 700 morti in pochi giorni, che si aggiungono ai 20.481 documentati dal blog Fortress Europe dal 1988 ad oggi. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo di Agrigento monsignor Francesco Montenegro, noto oramai come “vescovo di Lampedusa”, che dopodomani accoglierà ad Augusta (Siracusa) i vescovi che fanno parte della Cemi (Commissione episcopale per le migrazioni) di cui è presidente. Insieme a tutti i parroci di Augusta – il porto dove confluiscono la maggior parte delle navi cariche dei migranti salvati – parleranno, pregheranno e visiteranno il centro di accoglienza. “Sarà una occasione per far sì che i vescovi vedano cosa sta accadendo – spiega -. Una cosa è guardare alla tv le notizie, altra è stare sul posto. Si aprono gli occhi diversamente”.

Si parla tanto di Frontex plus, il dibattito è aperto ma nel Mediterraneo la gente continua a morire. Negli anni le politiche sono migliorate?

“Per niente. È vero, continuiamo a salvarli, nonostante qualcuno a nord sia contrario. Ogni vita umana è preziosa, però continuiamo ogni giorno a sentire notizie che ti fanno rabbrividire, come quelle di oggi. Non si può più affrontare il fenomeno in questo modo. Non basta dire: ‘venite, vi facciamo posare i piedi sulla terra italiana’. Qui ci vuole una organizzazione diversa, scelte politiche diverse, una Europa diversa. Non bastano solo le navi che pattugliano. Frontex plus avrà o no il ruolo di salvare vite umane? E se non lo avrà, cosa succederà? Guarderà e filmerà? Non credo. Non si tratta di avere documentazioni sui morti ma di fare in modo che la gente non muoia. Oramai è la politica a dover giocare tutto, altrimenti continueremo solo a fare statistiche. E con i poveri le statistiche non giovano, perché dietro ci sono storie, volti”.

È che sull’immigrazione c’è tanta demagogia e poca lungimiranza…

“L’Europa non ha ancora messo al centro l’uomo e ragiona solo in termini di economia. Ecco perché queste vite, che hanno un colore della pelle diverso, non interessano. Tutti ci appelliamo ai diritti umani e ai documenti che li tutelano ma solo per fare le tavole rotonde. In realtà la vita degli uomini conta poco”.

Come è la situazione in Sicilia? Si riesce ad accogliere questi grandi numeri?

“Oramai la situazione in Sicilia è al collasso. A Porto Empedocle ne sono arrivati altri 400 ma non sanno dove metterli. I numeri sono grossi ma le disponibilità poche. I nostri centri sono tutti operativi al massimo. L’atteggiamento della Chiesa è cambiato parecchio in questi anni. Prima c’era una vicinanza lontana. Ora siamo tutti impegnati in prima persona. La solidarietà si sta esprimendo nelle maniere più belle. Nelle parrocchie c’è un coinvolgimento più vero”.

Cosa ha insegnato alla Chiesa siciliana questa tragedia?

“Una tragedia non fa mai bene, ma ci ha permesso di aprire gli occhi. Ci ha fatto dire che quello che avviene nel Mediterraneo è oramai un problema di tutti. Noi siamo riusciti ad aprire gli occhi. Altri, un po’ più a nord, non credo abbiano voglia di farlo”.

C’è chi obietta che la Chiesa dovrebbe pensare prima agli italiani in difficoltà…

“Non credo ci sia da obiettare. Noi viviamo semplicemente quello che il Vangelo ci dice. Il cristiano deve essere coerente con quella Parola che ha accettato. Se qualcuno non la accetta, mi dispiace per lui”.

Sembra che per l’opinione pubblica questi morti non facciano più scandalo…

“Purtroppo ci si abitua subito. Quando qualcosa non ci piace si cambia canale. E la povertà non piace a nessuno. Però credo ci sia una sensibilità diversa. Il grido del Papa a Lampedusa ha significato qualcosa a tutti i livelli. Lampedusa non è solo il luogo degli sbarchi ma anche il luogo della speranza”.

Quale nuovo appello alla politica si sente di fare, oggi?

“Mi piacerebbe che in un mondo di globalizzazione in cui è possibile spostare da una parte all’altra le merci e il denaro, vi siano inclusi anche gli uomini. Non si possono alzare i muri, nessuno può fermare la storia. Chi ha impegni politici deve rendersi conto che è un momento importante e decisivo in cui la storia cambia. Perché quando ci sono popoli che si muovono la storia è sempre cambiata”.