Municipale di famiglia e vigili romani

Può sembrare paradossale, ma con tutte le informazioni che abbiamo è decisamente difficile capirci qualcosa. La realtà appare sempre più frammentaria, disorganica, inconcludente. Persino lo scandalo fatica ad entusiasmarci, condannati come siamo a indignazioni ad orologeria o a rimbalzare in un dedalo di opposte versioni, mistificazioni, distinguo.

Per non soccombere si può provare a fare una selezione, scegliere un argomento, e inventare una logica dove sembrano regnare l’arbitrarietà e la follia.

Le cronache dei primi dell’anno, ad esempio, si sono molto occupate di Polizia Municipale. Sotto la lente ci sono quella romana – con il Comandante dei Vigili che a Capodanno non è riuscito a mandare in servizio i 700 agenti di cui avrebbe avuto bisogno perché in troppi erano assenti per malattia, donazione sangue e 104 – e quella reatina – con la polemica sullo spostamento forse troppo disinvolto della moglie di un consigliere comunale dalla Polizia Provinciale alla Municipale.

Sembrano due storie diverse, e l’esito di entrambe sarà probabilmente un bel niente. Ma forse lette insieme possono valere più della loro semplice somma. Potrebbero raccontarci qualcosa di come siamo messi, di come pensiamo, di come agiamo. E per sottrazione dirci qualcosa anche sulla materia oscura di quel che non facciamo, delle nostre pigrizie e delle nostre rassegnazioni.

Date per scontate tutte le rettifiche e le versioni alternative, da queste storie sembra emergere soprattutto una certa vocazione all’uso distorto dei diritti, un dilagante opportunismo, una radicata tendenza a passare sopra ai conflitti d’interesse per mettere il privato prima della dignità delle istituzioni. Un atteggiamento che alla lunga potrebbe persino mettere in pericolo il godimento di diritti giusti e conquistati a fatica.

Certa politica amante dei tagli di spesa e delle riforme al ribasso, infatti, non vede l’ora di cavalcare l’onda di protesta che queste notizie tendono a suscitare. Il premier Renzi, ad esempio, ha colto al balzo la palla dei vigili romani per twittare sulla necessità di cambiare le regole del pubblico impiego. Fatto il Jobs Act, probabilmente, non vede l’ora di universalizzare le nuove regole del lavoro. E non ha tutti i torti: dopo tutto corre il rischio di aver avviato una sorta di triplo regime: con i lavoratori del settore privato che a parità di mansioni avranno tutele differenti, ma sarebbero trattati sempre e comunque diversamente dai dipendenti dello Stato.

Una situazione che potrebbe suscitare le rimostranze di chi sta peggio. Per quanto intorpiditi, rassegnati, fiaccati nell’animo, le partite Iva, gli stagisti e i precari d’ogni fatta hanno tutto il diritto di pretendere una qualche forma d’equità: se le regole cambiano, devono cambiare per tutti.

Sembra proprio questa moderna separazione, questa sorta di “apartheid” tra garantiti e non garantiti, tra “tutele crescenti” e contratti “come si deve”, il non detto di queste storie di vigili urbani. Insieme al rischio che il rancore delle nuove generazioni – troppo a lungo covato nel versare contributi salati alla “gestione separata” per avere in cambio una pensione da fame e nessun’altra tutela – alla fine produca un assestamento nel segno del «tanto peggio (per tutti), tanto meglio».

Rattrista vedere quanto poco stia a cuore dei vari corpi intermedi e delle forze politiche questo tema di equità sociale e generazionale. Sono state condotte tante dure lotte per ottenere i diritti di ieri. Tolti i noti abusi all’italiana, sarebbero conquiste da mantenere ed estendere. Ma nessuna forza sembra voler entrare seriamente in questo dibattito sul lavoro. Tutti prestano attenzione alle dinamiche dei pizzardoni romani, ma nessuno pare interessato a cosa succederà nel Paese quando i precari di oggi saranno titolari di pensioni da duecento o cinquecento euro. Quale soggetto si farà carico di compattare nelle comuni rivendicazioni le fila sempre più ampie di uomini e donne dalla vita incerta, angosciata, talvolta prossima alla schiavitù? Quale forza credibile si propone di lottare per ottenere un sistema di lavoro e di previdenza sociale che guardi alla persona e non al contratto, autonomo o subordinato che sia?

Un buon proposito per il nuovo anno sarebbe di cominciare finalmente a dibattere di queste cose, sarebbe intraprendere una buona volta questa battaglia culturale e storica rispetto alla quale sembriamo già in ampio ritardo. Eppure potrebbe andarne della tenuta dell’intero sistema sociale: qualcuno ha in mente qualche buona idea?

One thought on “Municipale di famiglia e vigili romani”

  1. niccolò eusepi

    David, hai colto nel segno, in modo magistrale. Era doffocile fare sintesi, come hai premesso, ma ci sei riuscito perfettamente. Tutta la politica italiana da molti anni è al ribasso, la scomparsa dri partiti ha innescato una corsa ai voti senza quartiere, favorendo ogni illusione anche microcorporativa, lontanissima dalla visione di insieme. Inoltre, i partiti che ci sononon rappresentano basi sociali reali ma caste parassitarie di funzionariato stipendiato, dall’onorevole in giù. Non voglio ancora pensare che il PD rappresenti la sinistra, non ci riesco. Nè che Fi rappresenti i conservatori italiani, con a capo un condannato che ci rende ridicoli agli occhi del mondo intero. Tutti aspettiamo di vedere la legge elettorale. Speriamo che si vada sl voto prima, con la legge di risulta che permettetebba ai cittadini di edprimere preferenze ed avere un pò di verità.

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