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Morte di Gino Strada, fondatore di Emergency. Pax Christi: «Un artigiano di pace»

Ha assistito le vittime dei conflitti e aperto ospedali dove nessuno ha avuto il coraggio di andare: è scomparso colui che nel 1994 creò l'associazione umanitaria internazionale che ha curato 11 milioni di persone in aree del mondo povere e in guerra

“I pazienti vengono sempre prima di tutto”: così amava ripetere Gino Strada. In un comunicato, Emergency – la realtà sanitaria internazionale da lui creata nel ’94 – ne ricorda il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione. “Sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose. La sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano. Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice”.

“È un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore. (Gino Strada)”

La vocazione per l’aiuto ai Paesi poveri

Nato a Sesto San Giovanni, comune operaio nella cintura milanese, Gino è cresciuto in un ambiente cattolico sensibile alle problematiche della realtà sociale. Fu attivista del Movimento Studentesco durante gli anni della contestazione. Frequentava anche gruppi di volontariato cattolico dove ha conosciuto nel 1971 Teresa Sarti, che diventerà sua moglie nello stesso anno. La formazione da medico-chirurgo, perfezionata negli Stati Uniti, è stata sviluppata in Inghilterra e in Sud Africa. Nel 1988 decise di applicare la sua esperienza in chirurgia di urgenza all’assistenza dei feriti di guerra. Negli anni successivi, fino al 1994, ha lavorato con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan, Etiopia, Tailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia. Nel 1994, l’esperienza accumulata lo ha spinto a fondare Emergency, associazione indipendente e neutrale nata per portare cure medico-chirurgiche di elevata qualità e gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà. Il primo progetto è in Ruanda durante il genocidio. Poi la Cambogia, Paese in cui è rimasto per alcuni anni. Nel 1998 partiva per l’Afghanistan: raggiungeva via terra il nord del Paese dove, l’anno dopo, inaugurava il primo progetto: un Centro chirurgico per vittime di guerra ad Anabah, nella Valle del Panshir. Dal 2005 ha iniziato a lavorare per l’apertura del Centro di cardiochirurgia in Sudan, il primo totalmente gratuito in Africa. Nel 2014 si recava in Sierra Leone per l’emergenza Ebola.

Mattarella: ha difeso le ragioni della vita contro violenza e morte

“Ha portato solidarietà e altruismo in modo a volte ruvido ma generoso”, così il Presidente della Repubblica italiana sulla figura di Gino Strada. “Ha recato le ragioni della vita dove la guerra voleva imporre violenza e morte. Ha invocato le ragioni dell’umanità dove lo scontro cancellava ogni rispetto per le persone. La sua testimonianza, resa sino alla fine della sua vita, ha contribuito ad arricchire il patrimonio comune di valori quali la solidarietà e l’altruismo, espressi, in maniera talvolta ruvida ma sempre generosa, nel servizio alla salvaguardia delle persone più deboli esposte alle conseguenze dei conflitti che insanguinano il mondo”. Mattarella precisa ancora che “in coerenza con la nostra Costituzione che ripudia la guerra, Gino Strada ha fatto di questa indicazione l’ispirazione delle azioni umanitarie sviluppate in Italia e all’estero, esprimendo, con coraggio, una linea alternativa allo scontro tra i popoli e al loro interno”.

Sant’Egidio: convinto del grande valore della pace

Nel fiume dei messaggi di cordoglio per la scomparsa di Strada, ci sono semplici cittadini, il mondo dell’associazionismo, le organizzazioni umanitarie a vari livelli. La Comunità di Sant’Egidio parla di un uomo che ha dato conforto senza guardare all’appartenenza nazionale o etnica, convinto del grande valore della pace. “Con Gino Strada scompare una delle figure di punta del settore umanitario in Italia ma anche in Europa. Un uomo che ha visto attraverso la sofferenza della guerra e le tragedie che porta il dolore del mondo. Ha voluto rispondere a un dolore non generico ma che passa dalla carne di uomini, donne e bambini. Ha toccato le ferite di popoli sofferenti, era un uomo di pace”: così si esprime Marco Impagliazzo, Presidente di Sant’Egidio. “Ha creduto alla pace perché ha visto come la guerra è la madre di tutte le povertà”.

Pax Christi: raccogliere il suo richiamo contro le armi

Gino Strada è morto proprio in concomitanza della recrudescenza della violenza in Afghanistan. L’impegno qui risale al 1999 e da allora sette milioni di persone sono state curate da Emergency, che oggi è presente nel Paese con due Centri chirurgici per vittime di guerra a Kabul e Lashkar-gah, un Centro chirurgico e pediatrico e un Centro di maternità ad Anabah, nella Valle del Panshir e una rete di 44 Posti di primo soccorso. Nei primi quattro mesi del 2021, i suoi ospedali hanno già ricoverato 1.853 pazienti vittime di guerra, con un aumento del 202% rispetto al 2011, quando la guerra era in corso da dieci anni. “Dobbiamo dire che sulla follia di una guerra in Afghanistan, Gino Strada aveva ragione. Scegliere la guerra è sempre sbagliato”, osserva Renato Sacco, Coordinatore italiano di Pax Christi, ha avuto modo di conoscere la moglie e la figlia di Strada e di visitare, dieci anni fa, uno degli ospedali da lui fondato a Kabul. “Emergency cura le vittime e la guerra è la grande fabbrica delle vittime”, afferma Sacco che torna a denunciare l’enorme investimento in armi che i Paesi, Italia compresa, realizzano, sordi ai richiami di Strada. Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la più grande opera che possiamo tramandare alle future generazioni, lui diceva, il suo lascito. “Quanti ospedali, quanti ambulatori, quante protesi avremmo potuto costruire con questi soldi! E avremmo tolto ossigeno al talebani! Gino Strada ci accompagni davvero per non sbagliare strada, appunto”, scandisce ancora Pax Christi.

Guardare il mondo con gli occhi delle vittime

“Ho avuto modo di lavorare con i tantissimi gruppi di Emergency, era una persona appassionata”, Renato Sacco risponde al telefono proprio mentre riprende in mano quel discorso che Strada fece quando, nel 2015, ricevette il ‘Nobel alternativo’. Lo ricorda come una persona che “ci ha aiutato a vedere il mondo con gli occhi delle vittime. Questo credo che sia il modo più bello di ricordare un testimone”. E aggiunge citando Papa Francesco: “Diremmo che era un artigiano di pace, ma anche un architetto, viste le tantissime strutture che ha costruito in tante parti del mondo”. Riporta la memoria a quando, insieme ad una delegazione di ong e associazioni impegnate nella promozione della pace e della giustizia nel mondo, visitò l’ospedale di Kabul dove operavano i medici addestrati da Gino Strada. “Mi colpiva che era davvero un ospedale bello e che c’era scritto ‘Qui non si entra con le armi’. Traspariva la serenità in quegli ambienti. Sulla porta esterna c’erano alcuni disegni di bambini ricoverati. Un bambino fuori correva con gli aquiloni. E mi dicevo che anche quelli che erano dentro sarebbero potuti un giorno tornare a correre”. L’ospedale come un fiore nel deserto, considerando che – come don Sacco ammette – Kabul è stata la città che gli ha fatto più paura rispetto alle tante che ha visto, perché “l’atmosfera era pesantissima”.

Curare le ferite, ma soprattutto le relazioni

Strada è sempre stato fautore di una sanità universale, pubblica, gratuita, integrata. Al fondatore di Emergency non sono state risparmiate “critiche da parte di chi lo vedeva come uno scalmanato”, aggiunge ancora Sacco. “Lungi dal voler fare di lui un santino, dobbiamo rammentare pure che, proprio in piena pandemia, i suoi medici e il suo personale sanitario sono scesi in prima linea mettendo a disposizione le loro competenze anche in Italia. Forse, allora, non abbiamo colto in pieno il suo messaggio. Anche di fronte al Covid, abbiamo parlato di una guerra al virus. E non abbiamo capito. Non si tratta di fare una guerra. Si tratta di curare,  ovunque. Ce lo ricorda anche il Papa: noi dobbiamo riscoprire la cura, intesa come il prendersi cura. Non solo lenire le ferite – conclude – ma fare posto all’altro, curare le relazioni. Mi curo di te se mi siedo accanto a te e ascolto i tuoi bisogni. Se ci pensiamo, la logica della guerra è esattamente contraria. I bombardieri non vedono i volti dei bersagli”.

da Vatican News