Mons. Pompili: «con la fede non si torna mai al punto di partenza»

Come già durante l’Avvento, torna anche in Quaresima l’appuntamento con le sante messe presiedute dal vescovo Domenico nella Basilica Cattedrale. Dopo aver saltato la prima domenica di questo tempo forte dell’anno liturgico per via della concomitanza con l’apertura della Porta Santa nella chiesa di Santa Barbara in Agro, il 21 febbraio Mons. Pompili ha concelebrato regolarmente in Santa Maria con i presbiteri della vicaria del centro storico.

L’omelia è stata tutta incentrata sulla pericope evangelica del giorno, la pagina della Trasfigurazione nella quale «Luca cerca di balbettare qualcosa per farci intendere un momento breve e inatteso durante il quale il volto di Gesù assume una luminosità incandescente». Sono i due personaggi del primo testamento che conversano con Gesù, Mosè ed Elia, a rendere chiaro a Pietro, Giacomo e Giovanni quanto sta accadendo sotto i loro occhi: «Entrambi parlano di dipartita. Di quale dipartita? Della morte e della risurrezione di Gesù, che accadranno di lì a poco». Anche la fede – così don Domenico – è in fin dei conti una dipartita, «perché consiste nel non tornare al punto di partenza, ma nell’andare verso l’ignoto» e deve pertanto essere sostenuta dalla consapevolezza che essa «non è un eterno ritorno alle stesse cose di sempre, ma un inoltrarci verso qualcosa di sconosciuto».

Per non smarrirsi sulla via che conduce a questa imprevedibile «terra promessa» è necessario tenere sempre presenti due momenti che in genere si tende a separare: quello della luce e quello delle tenebre. Non si comprende il Tabor, luogo della trasfigurazione di Cristo, senza il Calvario che vede invece la sua «“sfigurazione”». Ne consegue che anche la vita dell’uomo di fede si dipana lungo questo «continuo chiaroscuro», nell’affrontare il quale il Vangelo ci invita «a non disperare quando siamo nel buio e a non esaltarci quando siamo nella luce, perché Dio ci assicura che si tratta di un passaggio». Non bisogna dunque fare come Pietro, che con la sua richiesta di rimanere sul monte sembra voler immobilizzare quell’istante sublime: al contrario, si deve scendere e tornare in mezzo agli altri, rifuggendo sia dalla tentazione di «voler sempre fissare la luce» sia dalla coazione a «stabilizzare il buio disperandoci».

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