Mons. Lucarelli: «il cristianesimo è esperienza di incontro, non ideologia»

Omelia di mons. Delio Lucarelli in occasione del convegno della Confraternite della diocesi di Rieti. Oliveto, 18 luglio 2015.

Carissimi, ormai dieci anni fa la nostra Chiesa diocesana riprendeva il dialogo con le confraternite e, sulla base delle indicazioni nazionali e regionali, la partecipazione ai raduni e alle iniziative diocesane, ha favorito la nostra conoscenza e un ritrovato entusiasmo per queste nostre realtà.

Ora, quando il mio ministero episcopale è giunto a compimento, ho ancora l’opportunità di stare con voi per meditare sulla Parola di Dio ascoltata, spezzare il Pane Eucaristico e poi compiere insieme il cammino di fraternità che oggi si svolge qui ad Oliveto.

In questi anni molte confraternite si sono riorganizzate, sia sotto il profilo giuridico che spirituale, ecclesiale, caritativo. Molte hanno perfezionato il loro modo di compiere il servizio
nelle feste patronali, con maggiore consapevolezza e spirito di fede.

Di questo ringrazio tutti e ciascuno.

Le letture di oggi ci offrono numerosi spunti di riflessione: il tema centrale è quello del Pastore del gregge, di Gesù Buon Pastore, che ci insegna molte cose, come abbiamo ascoltato nel Vangelo.
Cosa insegna questo Pastore, se non ad abbattere il muro della inimicizia, di cui l’Apostolo parla nella seconda lettura.

Quel muro di cui parla l’apostolo si riferisce ai due popoli, quello dell’antico Israele e quello nuovo nato dalla morte e risurrezione di Gesù.

Ma noi vediamo che in ogni nostra attività e missione, vi sono sempre due popoli: quello che parteggia per una parte e quello contrario; quello che collabora e quello che critica, quello che costruisce e quello che distrugge.

Il compito di noi credenti è di abbattere questo muro di inimicizia anche se non è sempre facile.

Questo muro di inimicizia era presente anche nei primi tempi del cristianesimo, quando la nuova religione si poneva come la grande innovazione non solo religiosa ma anche sociale, poiché in Cristo tutte le barriere sono cadute.

Ma in molti non accolsero questa innovazione, sia tra gli Ebrei che tra i Romani, e molti cristiani furono costretti a rinnegare la fede o furono uccisi.

Dettero la loro testimonianza suprema con coraggio, furono decapitati, sbranati dalle fiere, nel migliore dei casi furono allontanati. Ma versarono il sangue con coraggio.

A molti di loro dette il suo aiuto Santa Prassede, patrona di Oliveto, che viene ricordata tra qualche giorno il 21 luglio con un piccolo pellegrinaggio in una chiesetta al fondo valle, dove è raffigurata in un affresco del 1696.

Era una nobile romana che fu risparmiata dalla morte cruenta per la sua posizione sociale ma che soccorreva i martiri proprio nel momento più delicato e tragico della morte.

Come lei tanti altri Santi, noti e meno noti,capirono quale era la posta in gioco:la libertà di aderire a Cristo,per costruire un mondo nuovo,per cambiare la società.

Ancora oggi, tuttavia, quel muro di inimicizia non è stato ancora completamente abbattuto poiché i cristiani, in molte parti del mondo, continuano a morire e a dare la loro testimonianza suprema.

Pensiamo a quanti attentati vengono ancora perpetrati nelle chiese in Africa, in Medio Oriente, soprattutto, ma anche in Estremo Oriente.

Essere cristiani richiede ancora oggi coraggio.

Abbiamo sentito parlare del gregge e del Pastore, nei testi della Sacra Scrittura, il Pastore dà la vita per le pecore, Gesù ha dato la vita per noi suoi discepoli, ma anche molti credenti, molti membri del gregge hanno dato e danno la vita per Lui, per Gesù, e per gli altri.

Ma perché dare la vita?Aveva senso allora e oggi dare la vita per un’idea? Non è forse più importante la vita,la persona, piuttosto che l’idea? Non è una sorta di suicidio rischiare grosso solo per rimanere fedeli al proprio credo?

Oggi a molti cristiani viene posta l’alternativa: o convertirsi ad un’altra religione o morire. Non è facile trovare risposte esaurienti e convincenti.

Possiamo dire, però, che la persona umana, nella visione cristiana,è sempre un bene grande da tutelare,e ognuno sa che deve curare e difendere non solo i suoi cari ma anche se stesso
dal pericolo e dalla morte, quanto è più possibile.

Ma spesso questo non basta. Quando l’amore per l’altro ci riempie la vita di senso, e soprattutto l’amore per Cristo e per il suo Vangelo dà sapore alla nostra vita, allora mettere a rischio la stessa vita non è suicidio, ma atto eroico d’amore.

Questa è la differenza più profonda che riscontriamo con il suicidio.In quest’ultimo abbiamo la disperazione, il non senso, la sconfitta.

Donare la vita per gli altri e per un’idea che non è solo un’idea teorica, ma una persona viva e reale come Gesù, significa scrivere con il sangue le parole d’amore del Vangelo, non per imporre agli altri questa idea, ma per custodirla.

Lo hanno fatto in tanti,forse alcuni neppure lo avevano messo in conto.

Carissimi, oggi abbiamo un messaggio molto forte da assimilare e da comunicare. Il cristianesimo è l’esperienza di incontro con il Signore, è un cammino con Lui. Non è propaganda o ideologia, ma proposta di una vita buona e nuova.

Siamo chiamati a ravvivare sempre più le realtà delle nostre confraternite, che sono sempre state, e devono continuare ad essere, scuole di vita cristiana, nelle quali dare testimonianza della fede.

Anche il cammino che faremo fra poco è una testimonianza, senza vergogna e senza paura, della nostra identità.

Continuate anche con il mio successore, Monsignor Domenico Pompili, questo cammino, come un solo gregge, sotto la guida del suo pastore. Amen.