Mons. Lucarelli alla festa nazionale dell’Allenza per L’Italia

Omelia nella XXIII domenica per annum anno A

Carissimi convenuti, ho accettato con piacere l’invito rivoltomi a presiedere questa celebrazione eucaristica nei giorni in cui vi siete radunati per riflettere sul vostro impegno politico e sulla situazione in cui si trova il nostro Paese. Da quando ho ricevuto l’invito sembrano cambiate molte cose e si sono succeduti eventi per certi versi anche imprevedibili e di una intensità inusuale nel periodo estivo, sul piano della politica interna e di quella internazionale.

Desidero, però, compiere una lettura sapienziale di questi testi ascoltati nella liturgia della Parola di oggi, che non sono stati appositamente scelti, ma sono quelli assegnati a questa giornata. Il fatto che siano straordinariamente calzanti e attuali mi induce ad approfondire anche alcuni argomenti cari alla dottrina sociale della Chiesa, che possono esservi di stimolo per una riflessione che non si fermi ai soli princìpi, ma che diventi prassi.

Il Vangelo ci ha illustrato la “regola” della correzione fraterna, secondo cui quando un fratello sbaglia è nostro dovere prenderlo in disparte e ricondurlo nella giusta direzione; solo quando il male è ostinato allora bisogna far intervenire la comunità, non tanto perché venga messo al cosiddetto “pubblico ludibrio”ma perché la stessa comunità prenda coscienza del male e perché si guardi bene dal praticarlo, e perché colui che lo ha compiuto si renda conto che il male che uno fa anche nel nascondimento non è solo affar suo, ma ricade su tutti gli altri.

Comprendete bene l’attualità di questo insegnamento per il nostro contesto sociale e per la condizione politica del nostro Paese: troppo spesso si è lasciato proliferare il male, giustificandone gli effetti, sulla base dell’errato principio che “si è fatto sempre così”.

Questo disvalore sociale ed umano ha contagiato il tessuto collettivo e la stessa antropologia contemporanea. Noi abbiamo non solo e non tanto usato misericordia verso gli erranti, come è giusto che sia, ma abbiamo giustificato l’errore, facendolo diventare regola dell’agire morale.

Il male e il bene dilagano non solo con la prassi, ma anche con l’avallo delle teorie che ne vogliono fondare il senso; ma potremmo dire che il male ha, forse, quella dose di fascino in più che lo fa sempre stare un passo avanti al bene.

Così, se non siamo più che convinti di dover lavorare per far dilagare il bene, non possiamo neppure pensare lontanamente di avere una società giusta ed ordinata.

Vorrei fare anche qualche esempio per cercare di mostrare quanto il Vangelo sia affascinante, se declinato con sapienza nella situazione concreta di un’epoca e di una società.

Il Vangelo di oggi smonta un pensiero molto diffuso nel nostro tempo: la distinzione tra vita morale personale e vita pubblica, quasi che il politico e il semplice cittadino possano considerarsi separati: un cittadino disonesto sarà un politico disonesto; un cittadino onesto avrà buone probabilità di essere un politico onesto, ma non sarà scontato, perché le occasioni per scivolare non mancano. Se l’onestà è frutto di convinzioni profonde e radicate è un conto, se è frutto solo di paura della sanzione allora le possibilità di cedere al male saranno molteplici.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato intreccia due piani: quello sociale, potremmo dire orizzontale, e quello spirituale o verticale; se permettete questa è la differenza specifica di una visione religiosa. Ciò che noi compiamo non esaurisce la sua portata solo a livello sociale, ma attiene anche al mondo spirituale: se io distolgo il mio fratello dal compiere il male non ho solo un merito terreno ma conseguo meriti spirituali, altrimenti la motivazione che mi spinge è solo terrena e coinvolge solo una parte di me, così posso cambiare facilmente prospettiva. Se ho una visione che va la di là del materiale io mi gioco tutto.

Il dilagare del male e del malaffare nel nostro tempo è dato anche da questa mancanza di prospettiva ultraterrena che ha tarpato le ali al sogno di una società più equa.

Abbiamo ascoltato lo stesso concetto nella prima lettura tratta dal profeta Ezechiele: il malvagio muore per la sua iniquità, ma della sua morte viene chiesto conto a chi aveva il dovere di correggerlo. Nel nostro contesto sociale, per troppo tempo, abbiamo affidato questa correzione fraterna solo alla sfera giudiziaria, che di per sé non è sufficiente a sostenere una collettività complessa e varia; e questo lo abbiamo assorbito così in profondità da dire che “tutto ciò che non è vietato dalla legge è consentito”, ma la filosofia e la teologia morale ci insegnano che non è così, che cioè la vita pratica, politica, civile e soprattutto religiosa, deve tendere alla misura alta di quei princìpi in base ai quali viene prima la persona nella sua integrità, soprattutto se è in condizioni di debolezza e di precarietà.

Carissimi, la nostra riflessione sarebbe incompleta se non ci soffermassimo un poco sulla seconda lettura, che sembra esplicitare in modo evidente e quasi disarmante la teoria del Vangelo e della prima lettura, una teoria che è alla base di una nuova vita.

L’Apostolo riprende il grande comandamento dell’amore, già dato da Gesù, e lo presenta come riassuntivo di tutta la legge: non uccidere, non rubare, non desiderare, non tradire.

Sono paradigmatici, questi atteggiamenti, del male che è nel mondo, ma possono essere sconfitti solo con l’osservanza della legge dell’amore a Dio e al prossimo.

L’amore non fa nessun male, dice l’Apostolo, noi possiamo dire che oltre a non fare male, fa bene.

Infatti, quella correzione fraterna di cui abbiamo detto è radicata nell’amore; perché dovrei correggere mio fratello? Semplicemente perché lo amo!

Fratelli e sorelle, mi permetto di darvi qualche altro piccolo spunto, di ordine più “politico” se volete, ma che dovete leggere nell’ottica del commento liturgico-mistagogico (cioè di introduzione nel mistero, nel dono che oggi il Signore ci fa) che ho condiviso con voi oggi.

La correzione fraterna, che ha una forte connotazione individuale, ma anche comunitaria, deve essere declinata in ambito politico, soprattutto in Italia, ma anche in altri Paesi, come correzione di un sistema che degrada sempre di più: correggere questo sistema vuol dire alcune cose importanti.

  1. Tornare a formare la classe politica del futuro, evitando improvvisazioni. Chi pensa che si possa fare politica senza formazione, ma solo con i soldi e con il consenso popolare, si illude, come pure senza una solida formazione morale, oltre che giuridica e sociale.
  2. Riscoprire il significato profondo della politica come servizio, con la conseguente cancellazione di inutili, costosi, anacronistici e sproporzionati privilegi che incattiviscono l’opinione pubblica, come stiamo vedendo in questi ultimi tempi.
  3. I cambiamenti continui della società impongono anche un rinnovamento frequente dei dirigenti politici: se si è consapevoli di avere poco tempo si fanno le cose con maggior sollecitudine; se, al contrario, si pensa di rimanere sempre “sulla cresta dell’onda” l’attività si diluisce troppo negli anni e si conseguono risultati modesti.
  4. Rimettere l’onestà al primo posto, tanto da non farla ritenere una virtù da sprovveduti, ma la base su cui impostare ogni attività e ogni funzione in tutti i campi.
  5. Evitare, nei periodi di abbondanza e di benessere, pericolose ed eccessive “politiche dello spreco”, proprio perché gli stessi economisti hanno sempre detto che a seguito di periodi di abbondanza si scatenano lunghi e dolorosi tempi di penuria e povertà.

Con queste semplici indicazioni spero di aver dato il mio contributo di pastore e cittadino, che è sempre in ascolto dei bisogni del popolo di Dio che è formato da cittadini attenti e operosi.

Rinnovo a voi il mio cordiale ringraziamento e il mio saluto augurando a tutti di trovare sempre nel Vangelo la bussola per orientare il nostro cammino.