Cultura

Moni Ovadia: appello per un mondo giusto

Intervista all'attore di origini ebraiche, che condivide la preoccupazione per chi è privato della dignità del vivere e maggiormente soffre la crisi globale generata dalla pandemia

L’attore, drammaturgo e compositore Moni Ovadia si dice profondamente “indignato per l’ingiustizia di questa società”, che lo porta a vivere “con senso di nausea perché i più colpiti sono i più fragili”. A lui è stato affidato di aprire il 7 maggio il ciclo delle Meditazioni al Festival Biblico: quattro appuntamenti in diretta facebook che ripropongono anche nell’agorà virtuale uno dei format più amati del festival. La sua sarà una meditazione sulla ricerca del senso, particolarmente attesa in questo tempo carico di dolore, spaesamento, paura.

R. – Ci sono forme di disperazione grave presso coloro che non hanno nulla da mangiare malgrado varie forme di solidarietà da parte di associazioni laiche e religiose. E’ un mare immenso a cui si aggiunge già la situazione terrificante di popolazioni che vivono per esempio in Africa, in Sudamerica. Vivo con molta angoscia. Credo che bisogna cambiare l’ordine delle priorità, riportare al centro il valore della vita in tutti i suoi aspetti, non solo la vita degli esseri umani ma la vita del pianeta intero che ci è stato affidato in custodia e che noi stiamo devastando.

Pandemia e diritti umani: un binomio che sta creando molti vagabondaggi di gente che non ha un lavoro, nemmeno più quello precario che aveva fino a qualche mese fa…

R: – Secondo me questo fa parte dell’ingiustizia che, mi verrebbe da dire, grida vendetta al cielo. Questo mondo, che si chiama mondo libero, non è affatto basato né sulla libertà né sulla democrazia. E’ basato sui privilegi, sulla corruzione, sui traffici della malavita… Tutto questo produce disperazione per gli ultimi. Chiudetevi in casa… e quelli che non ce l’hanno una casa? E coloro che lavorano nelle campagne come schiavi? Perché non c’è altra parola, non si può attenuare il linguaggio sulla questione della schiavitù. Le donne, in particolare, subiscono violenze e ricatti di ogni tipo. E’ un mondo infame che si fonda su quella che – come ha detto Papa Francesco nella Laudato Sì – è una economia di morte. Si basa sullo sconcio privilegio di uomini che hanno ricchezze smisurate e sulla miseria e il lavoro precario e l’infelicità di folle di esseri umani. Io credo che una società che non sa proteggere i propri anziani e i propri bimbi non è degna di essere chiamata civile. Il coronavirus una cosa l’ha mostrata: la ontogenetica e ontologica fragilità dell’essere umano. Sarebbe ora, dunque, di cominciare a costruire una società altra a partire proprio dalla fragilità, non dalla forza, dalla prepotenza, non dallo smisurato arricchimento. Bisogna imparare a vivere con criteri completamente diversi. Il benessere è una cosa da auspicare, ma quando è sfrenato e sfrontato è nemico di ciò che è giusto e buono. Io credo che l’opportunità che ci viene offerta è proprio rimodulare le priorità.

Vuole darci un’anticipazione della meditazione che proporrà al Festival Biblico?

R: – Io parto dal Genesi. L’intuizione del biblista è quella di avere affermato che tutti gli uomini discendono da una sola matrice, perché nessuno possa dire del suo simile ‘il mio progenitore era migliore del tuo’. In più ogni essere umano è modellato sull’impronta divina. In ogni essere umano c’è l’elemento dell’assoluto che è all’origine del mondo e dell’universo. Questa cosa io la chiamo dignità. Rapportarci al nostro simile deve tener conto di questo. Ma, si sa, l’uomo facilmente equivoca. E anche questo ci racconta il biblista. Succede che uno ammazzi l’altro. Caino non era cattivo e Abele buono. Caino ha degli enormi problemi con l’altro. Abele è il paradigma dell’altro. Ci si chiede perché Dio lascia andare Caino libero… Non li conosciamo tanti essere umani che si comportano così? C’è stato, per esempio, qualche politico che ha fatto autocritica di fronte al coronavirus? Abbiamo speso milioni di miliardi in armi e una pandemia ci ha messo in ginocchio. Siamo una umanità caìnide. Eppure perché il santo benedetto investe su Caino? Perché capisce che è la parte meno consistente dell’umanità. E spera che andando nel mondo Caino impari a far andare le cose un po’ meno peggio.

Il Papa ha accolto la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana per una Giornata di preghiera, digiuno e di invocazione per l’umanità, da celebrare il prossimo 14 maggio. Quale grido si dovrebbe levare, secondo lei, in modo congiunto da parte di tutte le religioni?

R. – Io credo che il grido che si dovrebbe levare è giustizia. Ho sentito spesso anche il Papa parlare della giustizia. Nell’Ebraismo Dio è giusto. Nessun altro attributo del divino e dell’umano può contribuire alla trasformazione del mondo. Chi è autenticamente giusto riesce a essere autenticamente buono. Solo un uomo autenticamente giusto riesce a capire il valore dell’eguaglianza del suo simile, tende la mano a colui che è in difficoltà.

Come ha accolto le parole di preghiera del Papa per gli artisti?

R. – Ancora una volta Papa Francesco dimostra di avere una visione così articolata dell’altro… In questo momento molti pensano che gli artisti si divertano. Non è vero. Siamo tantissimi che lavoriamo nello spettacolo dal vivo e non siamo solo il pugno di quelli famosi. Ci sono sacrifici inenarrabili dietro. E poi il teatro ha una grande una virtù: è il luogo della verità. Perché la via della finzione permette al teatro di esprimere le verità più spietate, aprendo l’animo dell’uomo alla verità. La giustizia, la verità e la pace. Nel Pirkei Avot c’è scritto che il mondo si regge su tre pilastri: la giustizia, la verità e la pace. E le tre cose non sono che una sola. Se fai giustizia, fai verità, se fai verità fai pace. La mia massima ammirazione per questa preghiera del Papa, dobbiamo mandare energie di giustizia, di bene e di verità. Non si può più camminare in questo regno della falsità programmatica a favore esclusivo dei privilegi.

Per allentare questa condizione di generale tensione, come potrebbe venirci in soccorso il proverbiale umorismo ebraico?

R. – L’umorismo ebraico è formidabile su queste cose. Posso raccontare che c’è un uomo che si sta congendando dalla vita e ha tutta la famiglia attorno al letto. ‘Moglie mia, sei qui?’. ‘Eccomi’. ‘Ezechiele, fratello mio. Sei qui?’. ‘Eccomi’. ‘E tu, Beniamino?’. ‘E tu, Yeoshua?’. ‘Siamo tutti qui’. ‘Beh, ragazzi ditemi una cosa: chi va al negozio?’. Saper ridere anche nell’agonia è un modo per non totemizzare il dolore nella paura. E’ un sentimento comprensibile, la paura, ma guai se diventa l’ossessione. Questo incastra l’uomo, impedisce di pensare e di sentire. Succedono guai brutti.

Da Vatican News