Misericordia et Misera | Promuovere l’inclusione sociale e spezzare le catene della povertà

È un richiamo forte alla responsabilità individuale quello di Francesco. Pieno di speranza e di fiducia nelle capacità dell’uomo di uscire dal “cerchio dell’egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia” (Misericordia et misera, 3). Proprio il riferimento alla carità, che è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa e che rappresenta la cinghia di trasmissione tra la misericordia di Dio e il nostro libero arbitrio, richiama la nostra attenzione sulla necessità di promuovere con le nostre azioni quotidiane, piccole o grandi che siano, un ordine sociale, economico e politico fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana in un clima di pace, giustizia e solidarietà. Solo così può esserci, infatti, uno sviluppo integrale della persona

Si è appena concluso l’Anno giubilare dedicato alla misericordia. Un momento importante per riflettere su quanto abbiamo vissuto e per interrogarci su quanto quel richiamo all’amore sovrabbondante che è la misericordia lascia nei nostri cuori.

Sebbene sia volto ormai al termine il primo Giubileo di Francesco, si dischiude infatti davanti ai nostri occhi – con ancor più forza e pregnanza – quella sfida lanciata dal Pontefice già nell’Evangelii Gaudium e nella Laudato Si a fare delle nostre vite un vero e proprio strumento dell’amore di Dio, capace di operare nella società promuovendo un’azione inclusiva che sappia porre al centro dell’agire umano, in tutte le sue sfere, l’incomprimibile dignità della persona. È, infatti, “il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia” (Misericordia et misera, 18)

Il richiamo del Pontefice è, ancora una volta, alla necessaria compenetrazione ed interdipendenza tra dimensione spirituale e materiale, tra preghiera e azione, sul presupposto che “le opere di misericordia corporale e spirituale costituiscono fino ai giorni nostri la verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale” (Misericordia et misera, 18). È proprio in questa specifica direzione, dunque, che la misericordia che abbiamo avuto modo di contemplare e vedere in azione durante l’anno giubilare deve sapersi trasformare in impegno concreto e costante. Ciò significa “vivere la carità” (Misericordia et misera, 8), facendo di quell’amore con cui Dio ci viene incontro il metro con cui ci relazioniamo con gli altri e su cui basiamo le nostre scelte.

È un richiamo forte alla responsabilità individuale quello di Francesco. Pieno di speranza e di fiducia nelle capacità dell’uomo di uscire dal “cerchio dell’egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia” (Misericordia et misera, 3). Proprio il riferimento alla carità, che è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa e che rappresenta la cinghia di trasmissione tra la misericordia di Dio e il nostro libero arbitrio, richiama la nostra attenzione sulla necessità di promuovere con le nostre azioni quotidiane, piccole o grandi che siano, un ordine sociale, economico e politico fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana in un clima di pace, giustizia e solidarietà. Solo così può esserci, infatti, uno sviluppo integrale della persona.

La carità interessa ogni manifestazione dell’intraprendenza umana arricchendola di quel generoso dono di sé che è iscritto nella visione antropologica espressa dalla dottrina sociale della Chiesa, rappresentandone essa stessa il filo conduttore. In un contesto economico-istituzionale che spesso appare disinteressato alla dignità della persona, ciò implica indubbiamente l’esercizio delle virtù umane ma, nello stesso tempo, anche lo sforzo per la costruzione dei presupposti per un rinnovato dinamismo della società civile. Quest’ultimo, al contrario, sembra invece sempre più venir meno nelle democrazie contemporanee, laddove

la logica inclusiva ha lasciato il posto a dinamiche estrattive che non solo distruggono la ricchezza (tanto materiale che spirituale) di un popolo ma, ancor peggio, escludono la persona da qualsiasi processo di sviluppo dinamico e duraturo producendo sottosviluppo e povertà (tanto materiale che spirituale).

Parlare di dimensione sociale della misericordia non significa certo delegare ad altri la responsabilità di adoperarsi per il bene comune. Contrariamente a semplicistici approcci paternalistici che deresponsabilizzano la società civile rispetto alle sorti dei più deboli e finanche gli stessi beneficiari, risultando strutturalmente inefficaci ed incapaci di elevare i poveri dalla loro condizione di bisogno,

l’approccio da cui muove la dottrina sociale della Chiesa è invece teso a promuovere l’inclusione sociale e, così facendo, a spezzare le catene della povertà.

Non è dunque ad un’autorità politica che spetta in prima battuta costruire quell’ordine sociale degno dell’uomo. Ad essa dobbiamo piuttosto chiedere di garantire una cornice istituzionale inclusiva, capace di permettere a ciascuno di farsi promotore, nelle proprie realtà e attività quotidiane, di un nuovo umanesimo fondato su una visione relazionale dell’economia e della società.

La misericordia interroga dunque ciascuno di noi, sia nella sfera individuale che relazionale. Essa ci invita, per usare le parole di Francesco, “a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri” (Misericordia et misera, 20) contribuendo a dare un senso autentico alla nostra vita. Perciò, ciascuno con i propri talenti, le proprie debolezze e, finanche, con le proprie miserie è chiamato a impegnarsi per il bene comune lasciandosi ispirare dalla fede e mettendo generosamente la propria stessa esistenza a disposizione del prossimo.