Sette miliardi di dollari i danni a Gaza: chi paga?

Conclusa l’operazione militare israeliana “Margine Protettivo” si stilano i primi bilanci. Triste contabilità sul fronte palestinese: 1.950 uccisi, tra i quali oltre 400 bambini; circa 10mila i feriti mentre gli sfollati hanno raggiunto la cifra di 285mila. Sul versante israeliano si contano 64 soldati uccisi e tre civili. Un centinaio i soldati feriti dei quali nove versano in gravi condizioni.

“Tutti i nostri soldati sono usciti da Gaza”: con queste parole il portavoce dello Stato ebraico, Moti Almoz, annunciava ufficialmente il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia, dopo 30 giorni di campagna “Margine Protettivo”. Missione compiuta dunque per l’esercito israeliano che afferma, tra l’altro, di aver distrutto almeno 32 tunnel, quelli utilizzati dai miliziani di Hamas per infiltrarsi in Israele. Resta ora un piccolo contingente israeliano a stazionare nei pressi dei confini della Striscia, pronto a reagire in caso Hamas decidesse di rompere la tregua di 72 ore, giunta oggi al suo secondo giorno. Dall’inizio dell’offensiva israeliana, l’8 luglio scorso, sono stati uccisi 1.950 palestinesi, tra i quali oltre 400 bambini. Circa 10mila sono i feriti e gli sfollati hanno raggiunto la cifra di 285mila, almeno quelli ospitati nei rifugi gestiti dall’Onu. Un bilancio che è destinato, purtroppo, a crescere. Dal fronte israeliano si contano 64 soldati uccisi e tre civili. Un centinaio i soldati feriti dei quali nove versano in gravi condizioni. Sette i miliardi di dollari stimati per i danni causati dal conflitto. A riguardo della ricostruzione si è già espresso il segretario generale della Lega araba, Nabil el-Araby che ha sottolineato l’importanza della conferenza dei donatori per Gaza, prevista a Oslo in settembre.

Numeri che sconfessano le dichiarazioni di vittoria levate sia da Israele sia da Hamas. Quest’ultimo esce dal conflitto rafforzato in popolarità presso i palestinesi che gli attribuiscono il merito di aver saputo fronteggiare l’offensiva israeliana. Un’apertura di credito destinata però a durare poco se Gaza resterà quella di prima, ovvero una prigione a cielo aperto. Per questo la riapertura dei valichi con l’Egitto e Israele, unita anche all’allargamento della zona di pesca, diventano temi importanti da discutere con il nemico israeliano. Netanyahu, a detta di molti analisti, potrebbe essere disponibile a fare queste concessioni solo dietro precise garanzie di smilitarizzazione della Striscia, prevenendo di fatto il riarmo di Hamas.

Una guerra che conta, paradossalmente, solo vincitori e nessun vinto e che adesso si trasferisce dalle strette e polverose strade di Gaza ai tavoli negoziali del Cairo dove sono arrivate la delegazione israeliana e quella palestinese per incontrarsi, negoziare e tentare di estendere le 72 ore di cessate il fuoco. Con loro anche l’inviato del Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu), Tony Blair. Intanto a Gaza la popolazione è tornata in strada e alcuni negozi hanno riaperto, approfittando della tregua che sembra reggere. “La situazione sul campo è terribile – dice al Sir Matthew McGarry, responsabile per Gaza del Catholic Relief Services (Crs), l’organismo umanitario dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America – ci sono macerie dovunque e la gente cerca acqua, cibo, medicinali. Molte famiglie cercano amici e parenti e di fare rientro nelle abitazioni, se non sono state demolite. Chi ha avuto la casa distrutta dalle bombe cerca di recuperare quel poco che riesce a tirar via dalle macerie. Stiamo assistendo centinaia di famiglie provvedendo loro il necessario”. E qui siamo all’emergenza di questi giorni, ma per il responsabile del Crs, è prioritario “pensare ai prossimi mesi. Miliardi di dollari in danni. Gaza è da ricostruire, e credo che sarà impossibile”. “Chi potrà mettere mano alla ricostruzione della Striscia? E’ una domanda retorica” risponde ridendo amaramente. “Non so. Ma se qualcosa potrà essere fatto servirà rimuovere il blocco israeliano alla Striscia e consentire di fare passare materiali utili a riparare e ricostruire. Aprire i valichi israeliani e egiziani è necessario ma è altrettanto urgente negoziare una tregua di lunga durata. Speriamo che i colloqui al Cairo portino in frutto in questa direzione e che a concordare una tregua segua anche una discussione più ampia relativa ai temi del conflitto”. Felice per la tregua anche padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem, che però non si nasconde le difficoltà legate al futuro: “ora comincia un altro lavoro, ricostruire le case e le persone – dice al Sir – Tutto è distrutto, mancano acqua e elettricità, le case demolite sono almeno 10mila. Gli sfollati 285mila. Migliaia di donne e bambini feriti. Chi pagherà per tutto questo? Il contributo della Caritas potrà arrivare a circa un milione di euro ma questo servirà per fronteggiare l’emergenza umanitaria di adesso e non per ricostruire. Il parroco di Gaza, padre Jorge Hernandez sta distribuendo a 1000 famiglie cibo e coperte. Abbiamo riaperto la clinica medica della Caritas e i primi utenti sono i bambini, molti dei quali lamentano malattie della pelle”. Grazie al contributo di tante Caritas sparse nel mondo, Caritas Jerusalem cerca di alleviare le sofferenze della popolazione gazawa. “Caritas italiana ci ha donato 100mila euro e ringraziamo i tanti che ci hanno mostrato solidarietà in questi giorni. Ma non basta. Servono i soldi per la ricostruzione” annota padre Raed che non nasconde la sua amarezza, e quella “di molti palestinesi”, per “i 225 milioni di dollari che Obama ha dato a Israele per potenziare il sistema anti razzi Iron Dome”. “La ricostruzione di migliaia di case distrutte meriterebbe più attenzione – dichiara il sacerdote – per uno o due anni decine di migliaia di gazawi dormiranno sotto le tende, i bambini non potranno rientrare a scuola prima della fine dell’anno. Chi penserà a loro?”.