Libri

Migranti, «Non chiamateli “Quelli”»

Nel libro di Domenico Di Cesare quindici interviste a migranti raccontano le vicende di richiedenti asilo, in special modo quelli dal diverso colore della pelle: la narrazione delle loro vite vuole condurre a una più meditata e cosciente sensibilizzazione dell’opinione pubblica e mettere in evidenza che l’essere umano è tale indipendentemente dal colore, dalla sua fede religiosa, dalla sua nazionalità.

«Un’idea nata dalla mia esigenza di dedicarmi a temi sociali: ho deciso di affrontare la tematica dei migranti, spesso non trattata in maniera chiara, ma utilizzando luoghi comuni e dati non certificati». Domenico di Cesare, scrittore reatino, offre un punto di vista su un dramma di stretta attualità, e lo fa a partire da quindici storie, quindi interviste emozionanti, a tratti forti, illustrate senza filtri nella loro cruda realtà, raccolte nel libro Migranti edito da Castelvecchi.

«Le verità su questa tematica sono spesso omesse, tuttavia questo libro ha una direzione completamente diversa, si parla di accoglienza, rispetto e soprattutto integrazione , sia per noi che per le persone che accolgono che per quelle che vengono accolte, che arrivano da contesti agghiaccianti». Domenico spesso utilizzati per creare polemiche elettorali e incanalare rabbia verso «l’altro, il diverso».

«“Questi qua”, li chiamano, come non fossero esseri umani, come non fossero persone. Si vuole colpire il nero, inutile negarlo». Il libro, uscito alla fine di maggio, ha già riscosso molti consensi e dopo le presentazioni di Rieti e Cittaducale si presta a far parte del festival letterario “Liberi sulla Carta”, in programma in città per settembre.

«Credo che uno scrittore debba dare prima di tutto un messaggio, a favore della verità e della sensibilizzazione sociale, per condurre a una riflessione approfondita l’opinione pubblica, mettendo in evidenza che l’essere umano è tale, indipendentemente dal colore della pelle».
Filo conduttore del volume, le vite segnate di perseguitati a vario titolo, per la loro etnia ma anche per il loro credo o per il proprio orientamento sessuale. Non solo guerre tra i motivi della fuga dai loro Paesi di origine, ma anche rifiuti familiari, condanne dalle religioni, persecuzione dei governi. Storie drammatiche, storie di torture e di allontanamenti di addii forzati dalle proprie patrie.

Come per Fadi, condannato a morte in Siria per la sua omosessualità, o Omar, giovane della Guinea fuggito dalla sua terra a quindici anni dove in un combattimento tribale padre e fratello sono stati sgozzati. Esperienze che segnano come rasoi, come quelle di coloro che hanno perso i propri cari in macabre usanze tribali.

«Senza dimenticare che noi italiani siamo stati migranti, e moltissimi episodi di intolleranza di cui siamo stati vittime, basti pensare che nel 1898 a New Orleans sono stati linciati undici italiani da dati ufficiali anche se sappiamo che erano molto più numerosi, per non parlare di Sacco e Vanzetti finiti sulla sedia elettrica, e le migrazioni degli italiani nel dopoguerra e i porti americani chiusi per gli italioti negroidi nel 1920: siamo un popolo dalla memoria corta».

Per ricostruire storie ed ascoltare i protagonisti, Domenico ha attinto molto dagli ospiti di alcune associazioni e cooperative di accoglienza e del progetto Sprar di Caritas diocesana: «mi hanno aiutato tanto, quattro interviste le ho svolte nella loro sede, hanno creduto in questo progetto e mi hanno appoggiato. Ricordo che proprio in Caritas feci una delle più difficili col supporto di una psicologa, a una ragazza diciottenne vittime della tratta della prostituzione: un’esperienza che mi ha molto segnato e arricchito».

Tutti racconti di vita estremamente toccanti, in grado di sollecitare una necessaria riflessione sulle atrocità che milioni di persone, nei posti più disparati del globo, sono costrette a subire spesso nell’indifferenza generale.

«Dobbiamo affrontare il tema delle differenze culturali, dobbiamo anzitutto conoscerle per comprenderle fino in fondo. In Nigeria praticano violentissimi riti vodoo a fini ricattatori, cose che noi assolutamente non sappiamo, questo libro serve ad aprire una prospettiva diversa a ripensare quei giudizi fissi che ormai siamo abituati ad ascoltare in ogni sede, social network in primis».

Un lavoro pesante sotto tanti punti di vista quello di Domenico, anch’esso bersaglio di episodi di intolleranza e campanilismo ma ampiamente ripagato da momenti che scaldano il cuore. Come il ragazzo congolese che si è alzato in piedi durante una delle ultime presentazioni, solo per dire in italiano stentato che qui, finalmente, era libero.