Immigrazione

Migranti, il parroco di Lampedusa: «Aprite i porti e gli aeroporti alle persone»

Mentre è ancora bloccata al largo delle coste di Lampedusa la nave Sea Watch, con 43 persone a bordo parla don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando, la parrocchia dell'isola: «A Lampedusa gli arrivi di migranti con piccole imbarcazioni non si sono mai fermati»

Mentre è ancora bloccata al largo delle coste di Lampedusa la nave Sea Watch, con 43 persone a bordo (10 sono state fatte sbarcare due giorni fa) parla al Sir don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando, la parrocchia dell’isola: «A Lampedusa gli arrivi di migranti con piccole imbarcazioni non si sono mai fermati».

«Benvenuti nel porto salvo di Lampedusa»: così, con un post sui social, don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando, l’unica parrocchia di Lampedusa, ha voluto dare un saluto virtuale alle dieci persone – tre minori, tre donne, di cui due incinte, due accompagnatori e due uomini bisognosi di cure mediche – autorizzate a sbarcare dalla Sea Watch 3, da martedì scorso al largo delle acque territoriali italiane con 43 persone a bordo. In atto un divieto di sbarco firmato dal ministro dell’interno Matteo Salvini. Anche stavolta i volontari della parrocchia sono andati al molo Peverello per dare un conforto alle persone sbarcate. Perché a Lampedusa «gli sbarchi non si sono mai bloccati. Ora è solamente ripresa l’attenzione mediatica», precisa al Sir don La Magra, che da tre anni condivide gioie e dolori della popolazione lampedusana e dei migranti. Papa Francesco si informa in maniera costante di quanto accade sull’isola, luogo simbolico nel mondo, la Porta d’Europa. Lo fa tramite l’arcivescovo di Agrigento il cardinale Franco Montenegro, e i responsabili della Sezione Migranti & Rifugiati del Dicastero per il servizio allo sviluppo umano integrale, che diverse volte hanno visitato Lampedusa. Quando mesi fa la nave Mare Jonio era nelle acque di Lampedusa senza il permesso di sbarcare, anche don Carmelo, nella sua lunga talare nera, reggeva lo striscione “Aprite i porti”: «Manifestavamo il nostro desiderio che attraccasse e che non venissero lasciate tutte quelle persone in balia delle onde».

In questi giorni i riflettori su Lampedusa si sono di nuovo accesi. Il decreto sicurezza bis chiude i porti con ancora maggiore forza alle pochissime Ong rimaste nel Mediterraneo. Mentre continuano, sotto silenzio, gli “sbarchi fantasma” di piccole imbarcazioni, di solito gommoni o barche di legno, che riescono ad arrivare da sole a ridosso delle acque italiane e poi vengono scortati fino a terra dalla guardia costiera o dalla guardia di finanza. Si parla di centinaia di persone.

«Gli sbarchi non sono mai finiti. Abbiamo sempre persone che arrivano direttamente – racconta don La Magra – Sembra di essere tornati a prima del 2013, prima dell’operazione Mare Nostrum e della presenza delle navi delle Ong. E’ terribilmente pericoloso. Nei mesi scorsi, in inverno, arrivavano maggiormente dalla Tunisia. Ora stanno riprendendo gli arrivi dalla Libia».

L’accoglienza allo sbarco e in parrocchia. Le persone vengono accolte per alcuni giorni nel centro di Contrada Imbriacola, che dopo vari incendi ha ancora lavori di manutenzione in corso. Ha ufficialmente a disposizione un centinaio di posti. «Chi arriva viene identificato al centro e poi entro due o tre giorni trasferito in Sicilia», spiega il parroco, precisando che come Caritas preferiscono non operare all’interno «perché i migranti assimilano chi ci lavora a ciò che hanno vissuto nei centri in Libia». Perciò i volontari incontrano i migranti «allo sbarco, per strada, in parrocchia, uno dei primi luoghi che visitano per trovare un punto di ristoro o utilizzare internet per contattare le famiglie. Ci chiedono un posto dove ripararsi dal freddo o dal caldo, la possibilità di andare al bagno, a volte abiti». In questo periodo si tratta in maggioranza di africani sub-sahariani (Costa d’Avorio, Mali, Nigeria, Eritrea), libici, egiziani e tunisini.

«Allo sbarco li accogliamo con un gesto di accoglienza umana e di benvenuto: le coperte termiche, un thé caldo, l’acqua. Siamo lì anche se arrivano nel cuore della notte, perché ci avverte la guardia costiera o ci passiamo la voce. A Lampedusa è facile sapere le cose», scherza.

Da tre anni sull’isola. L’esperienza di questi tre anni nell’isola delle Pelagie è stata per don Carmelo l’occasione per «toccare con mano la sofferenza, per condividere con tante persone, anche di altre religioni o non credenti». Sulle navi delle Ong, osserva, «ci sono persone che lavorano e danno la vita per soccorrere altre persone. E’ gente che compie il bene, magari a modo suo».

«Lampedusa è un posto in cui i diritti o sono per tutti o non sono per nessuno. Vivendo qui – prosegue – ho compreso profondamente che non ha senso dire ‘prima gli italiani’ o ‘prima i migranti’. Ognuno deve cercare di far rispettare i propri diritti».

I lampedusani, che assistono in prima fila a quanto sta avvenendo nel Mediterraneo, in parte «assimilano la paura veicolata dai media». «E’ un posto in cui chi vuole può fare diretta esperienza della realtà dei fatti – sottolinea don Carmelo -. Ma chi non vuole si lascia benissimo convincere da quello che vede in televisione». Anche se oramai tribunali e procure hanno smentito tutte le accuse che ipotizzavano la collusione delle Ong con i trafficanti, osserva amaramente il parroco, «è più facile condannare chi fa il bene che interrogarsi su quello che non si fa».

Dopo la grande emergenza del 2011, durante la primavera araba tunisina che aveva portato a Lampedusa migliaia di persone costrette a vivere accampate nell’isola in condizioni disumane, non ci sono stati più periodi di gravi difficoltà. In questi anni la stagione turistica è ripresa a gonfie vele. Eppure i lampedusani, sia per la distanza geografica (sono più vicini alla Tunisia che all’Italia), sia perché vengono legati immediatamente al tema immigrazione, si sentono “dimenticati”: «Le istituzioni sono presenti solo per sventolare l’una o l’altra bandiera. Non c’è stata mai una presa di posizione a nostra favore. Solo la Chiesa è presente, con il cardinale Montenegro sempre a disposizione. E il Papa che si informa costantemente».

I problemi della vita quotidiana dei lampedusani sono noti: costante militarizzazione dell’isola, scarsità di servizi sociali e sanitari. Solo da pochi giorni è stato riattivato il servizio di guardia medica specifico per i migranti. «Ma durante tutto l’inverno veniva mandato il medico del pronto soccorso a visitare le persone che sbarcavano – spiega -. Questo significa che mentre era allo sbarco non c’era un altro medico al pronto soccorso in caso di emergenza. E viceversa. Allora è normale che la gente poi dica ‘per colpa dei migranti…’. A volte sembra quasi ci sia la volontà di creare conflitti tra le persone».

Quello che chiedono i lampedusani è semplice: «salvaguardare la cura delle persone, sia dei lampedusani, sia dei migranti. Maggiore attenzione a chi sbarca e a chi vive qui. Favorire i diritti di tutti, in modo che la gente non accusi l’altro per ciò che gli viene negato».

Sulla chiusura dei porti il parroco di Lampedusa ha le idee chiare: «Aprire i porti alle persone, che li portino le Ong o le navi militari. Ma soprattutto aprire gli aeroporti, consentendo cioè alle persone di venire in modo legale per non metterli in condizione di pericolo in mare».

«Se vogliamo davvero combattere i trafficanti e salvare la vita delle persone allora apriamo gli aeroporti. A volte sembra che tutti sappiano cosa andrebbe fatto ma fanno finta di non saperlo», chiosa.

500 morti in mare da inizio 2019. Il cimitero dei “senza nome”. Intanto, senza la presenza delle Ong nel Mediterraneo, aumentano i morti in mare: oltre 500 dall’inizio dell’anno a fine maggio. Lampedusa ha un piccolo cimitero, che veniva curato con amore da un anziano custode ora andato in pensione. Lì sono sepolti i corpi dei migranti senza nome. Anche la parrocchia se ne occupa. «Cerchiamo di fare delle ricerche per dare un nome a qualche tomba e restituire dignità a questi morti».

Una delle poche tombe che ora ha un nome con valore legale è quella di Ester Ada, 18 anni, sepolta lì da dieci anni.

E’ stata trovata morta, insieme ad altre persone, a bordo di un mercantile conteso tra Malta e Italia, che nessuno voleva far attraccare. Alcuni giornalisti riuscirono a salire sulla nave e a mostrare la tragedia e finalmente l’Italia concesse l’attracco a Lampedusa. Ester Ada venne sepolta nel cimitero dell’isola e il suo corpo identificato da un fratello.

Il post rivolto al ministro Salvini. Tempo fa il parroco di Lampedusa scrisse un post su Facebook rivolto al ministro dell’interno Matteo Salvini, che aveva appena sfoggiato un rosario e affidato l’Italia al cuore di Maria. Il suo post ebbe una certa eco sui media. Oggi rinnova il suo invito ricordandogli: «Affidarsi a Maria significa credere in una persona che non ha mai urlato, che ha amato, che ha uno sguardo verso i poveri. Io a Maria ce lo affido, magari succede qualcosa…»

Patrizia Caiffa per il Sir