P. Mifsud di Cile: “Era necessario passare dalle parole ai fatti ma ci vorrà tempo”

“Ho l'impressione che il Paese sia stato soddisfatto di questo primo passo. Era necessario passare dalle parole ai fatti concreti. Ci vorrà molto tempo prima che la società riacquisti fiducia nell'istituzione della Chiesa”. Intervista a padre Tony Mifsud, gesuita, direttore della rivista cilena “Mensaje” che, dal Cile, commenta le dimissioni “in blocco” dei vescovi cileni. “Penso che la cosa più importante non sia che la Chiesa torni ad avere l'importanza sociale di cui godeva prima, ma che la sua parola e il suo annuncio siano credibili. Si tratta di passare da una Chiesa focalizzata su se stessa ad una Chiesa al servizio della società, che si preoccupa per i più deboli e abbandonati dalla società”.

“La verità è che le dimissioni dei vescovi cileni mi hanno sorpreso”. Padre Tony Mifsud, gesuita, direttore della rivista cilena “Mensaje” risponde così alla domanda se si aspettava la decisione presa unanimemente da tutti e 34 i vescovi cileni di rimettere il loro mandato nelle mani del Santo Padre. Un esito sorprendente, giunto alla fine di tre giorni di incontri e dialogo che i vescovi hanno avuto con Papa Francesco per discutere sul tema degli abusi. Uno scandalo fatto non solo di “abuso di potere, di minori, di coscienza” ma anche di errori, omissioni, occultamento di prove. Una rete oscura che ha provocato dolore alle vittime, al Papa, all’intero Paese incidendo sulla credibilità della Chiesa. Sono passati pochi giorni dall’annuncio fatto dai presuli e il Sir ha raggiunto padre Tony Mifsud, gesuita, per capire come il Cile e la Chiesa cilena stanno vivendo le notizie che giungono da Roma. “Penso – riflette padre Mifsud – che questo gesto sia significativo e coerente. Significativo perché è un fatto senza precedenti nella storia della Chiesa; coerente perché, di fronte agli errori commessi, presentare le dimissioni era la cosa giusta da fare. Certo, è molto importante passare dalle parole ai fatti;

queste dimissioni dimostrano che il problema sarà affrontato e, cosa ancora più importante, sarà affrontato alle sue radici in modo che questi fatti non si ripetano”.

Papa Francesco nella lettera consegnata a ciascuno dei vescovi cileni ha scritto: “Desidero ringraziarvi per aver accolto l’invito a fare, insieme, un discernimento franco”. La decisione dei vescovi va letta alla luce di questo discernimento franco e collettivo? Cosa è il discernimento e come avviene?

Il Papa ha detto ai vescovi che non si erano riuniti per discutere idee ma per discernere la volontà di Dio.

Il discernimento non è una riflessione, significa mettersi in un atteggiamento di ascolto orante per scoprire ciò che Dio sta chiedendo in un momento concreto. Pertanto, occorre fare una buona diagnosi della realtà e discernere ciò che è secondo il Vangelo e ciò che lo contraddice. Infine, si discerne per passare all’azione: è il processo che consiste nel cercare, individuare e mettere in pratica ciò che Dio vuole.

Sempre nella stessa lettera il Papa parla di una comunione ecclesiale che si è rotta di fronte ai gravi fatti. Fatti che “hanno indebolito l’attività della Chiesa in Cile negli ultimi anni”. Come si ricostruisce questa comunione? 
Mi sembra che dobbiamo trovare la soluzione nelle sue diverse dimensioni: (a) la nomina di vescovi che abbiano un profilo di pastore vicino, con l’odore delle pecore, e con un profondo senso di Dio; (b) ci deve essere una maggiore partecipazione della comunità nella nomina dei vescovi, vale a dire, chiedere alla comunità di suggerire dei nomi; (c) in questa ampliata partecipazione è richiesta una maggiore presenza delle donne, perché il loro punto di vista e la loro sensibilità costituiscono un grande contributo.

Infine, direi che è necessario un cambiamento di mentalità: non considerare la persona che sporge denuncia come un avversario ma, al contrario, ringraziarla, perché fa del bene alla Chiesa.

Come hanno reagito i cileni? Il Papa parla anche di giustizia. Come ricostruire la fiducia delle persone e la credibilità della Chiesa? 
Ho l’impressione che il Paese sia stato soddisfatto di questo primo passo.

Era necessario passare dalle parole ai fatti concreti.

Ci vorrà molto tempo prima che la società riacquisti fiducia nell’istituzione della Chiesa. Penso che la cosa più importante non sia che la Chiesa torni ad avere l’importanza sociale di cui godeva prima, ma che la sua parola e il suo annuncio siano credibili. Si tratta di passare da una Chiesa focalizzata su se stessa ad una Chiesa al servizio della società, che si preoccupa per i più deboli e abbandonati dalla società.

A prescindere dalle decisioni che prenderà ora il Papa, quale futuro si apre per la Chiesa in Cile? 
Tutto questo doloroso processo ci ha insegnato che occorre superare una mentalità clericale e autoritaria; che dobbiamo imparare ad ascoltare e valorizzare la comunità. Naturalmente, occorrerebbe anche migliorare la formazione nei seminari e nella vita religiosa. È importante avere protocolli chiari nelle strutture dove ci sono bambini per evitare problemi e che siano ambienti sicuri.

Cosa lascia alla storia questa pagina della vita della Chiesa cilena?
Penso che il Papa sia stato molto chiaro al riguardo. La forza profetica che ha avuto la Chiesa in Cile durante gli anni difficili si è indebolita perché si è chiusa in se stessa. Occorre recuperare l’audacia apostolica di difendere la dignità umana in mezzo a un modello economico che emargina un gran numero di persone (salari bassi, pensioni insufficienti …) perché annunciando un Dio Padre ci impegniamo a trattare gli altri come fratelli. Superare una mentalità difensiva che pensa a proteggere l’istituzione, essere umili quando commettiamo errori ed essere sempre creativi nel servire gli altri, specialmente coloro che sono più vulnerabili e feriti nella nostra società.