Mezzogiorno: frenare la fuga di giovani

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Due proposte in campo: revisione della legge “Fornero” e nuovi fondi Ue.

Dal 21,7 del 1977 al 35,3% del 2012. In 35 anni, è aumentato di circa 14 punti percentuali il numero dei giovani tra i 15 e i 24 anni che in Italia è senza lavoro. Nel Mezzogiorno, si è passati dal 28,3% al 46,9%. Quasi la metà della popolazione giovanile attiva meridionale è senza lavoro, dicono i dati diffusi dall’Istat. Un incremento drammatico, confermato dall’indice della disoccupazione complessiva meridionale, passata dall’8% del 1977 al 17,2%, contro un tasso generale, rilevato nel mese di marzo dell’11,5%, in crescita di 1,1 punti percentuali su base annua. La disoccupazione giovanile, esplode non solo in Italia, ma in tutt’Europa. Una generazione intera è minacciata dal rimanere senza lavoro e questa è diventata la grande questione sociale del nostro tempo.

Oltre la metà delle famiglie senza lavoro, si trova al Sud.

Recentemente, il Capo dello Stato ha sottolineato che per restituire al Sud prospettive di crescita economica e civile, devono essere in primo luogo gli stessi meridionali a prendere nello loro mani il proprio destino, pur nel contesto di politiche nazionali attente alle particolari condizioni del Mezzogiorno. Un’indicazione che corrisponde alla realtà, ove si consideri che le cause strutturali dell’arretratezza del Sud, sono da ricercarsi sia nella disparità delle capacità delle regioni meridionali di promuovere la crescita e quindi lo sviluppo, sia nelle diverse modalità di operare, rispetto al Nord, dei cosiddetti stakeholders (Università, Centri di Ricerca, Istituzioni, organizzazioni sindacali, partiti, ecc.). In occasione del Primo Maggio, Giorgio Napolitano ha anche ricordato: “In Italia, c’è stata, negli ultimi anni, una drammatica perdita di posti di lavoro. La disoccupazione colpisce un gran numero di famiglie. Sono quasi un milione i nuclei familiari in cui nessun individuo in età lavorativa ha un’occupazione. In cinque anni, la cifra è più che raddoppiata e oltre la metà di queste famiglie si trova al Sud. In tale situazione, aumenta l’emigrazione. Soprattutto di giovani con alti livelli d’istruzione, che cercano e trovano lavoro all’estero”.

I giovani meridionali in fuga.

Le elaborazioni dei dati ufficiali – in un solo anno, la fascia dei più giovani (20-40 anni) – è cresciuta del 28,3%, passando dai 27.616 espatri del 2011 ai 35.435 del 2012 – diffusi nelle scorse settimane dal Centro Studi “La Fuga dei Talenti”, danno conto di un vero e proprio esodo dei giovani italiani, stimabile intorno alle 150mila unità nel 2012. A questo, c’è da aggiungere il fenomeno della migrazione di laureati del Sud che si spostano poi al Nord per lavorare: per il Censis, questo accade al 23,7% degli studenti delle regioni meridionali, dopo aver concluso il percorso di studi, rispetto invece al 2% degli studenti del Nord e del Centro che per lavorare si spostano al Sud.

Gli interventi annunciati dal nuovo Governo.

Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, nell’intervento sulla fiducia, ha definito “prima priorità” l’emergenza lavoro, annunciando due degli strumenti con i quali il Governo intenderebbe affrontare il problema dei senza lavoro e dei giovani inattivi. Un primo punto riguarda la sospensione temporanea della “legge Fornero”, laddove rende più costosi e complicati i contratti a termine, i co.co.co, le partite Iva e i lavori a chiamata e allunga i termini di attesa tra un contratto e l’altro. Un secondo aspetto concerne l’introduzione della “Youth Guarantee”, l’accordo politico raggiunto dal Consiglio dell’Unione europea nel febbraio scorso, che prevede entro un periodo di 6 mesi, per i giovani di età inferiore ai 25 anni che perdono il lavoro o non lo trovano una volta terminato il percorso scolastico, l’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio. Gli Stati membri dovrebbero attuare i sistemi relativi al più presto, preferibilmente a decorrere dal 2014. Un’attuazione graduale potrebbe essere presa in considerazione per i paesi con gravi difficoltà di bilancio e con tassi più elevati di disoccupazione giovanile. Parte del finanziamento del sistema sarà sovvenzionata con fondi Ue, che saranno rinforzati da una nuova iniziativa che renderà disponibili 6 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Questo aiuterà le regioni con tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25% ad adottare misure per aumentare l’occupazione giovanile. La metà di questo importo sarà assegnata dal Fondo sociale europeo e l’altra metà da una linea di bilancio dedicata all’occupazione giovanile.

Il nuovo modello innovazione-sviluppo-crescita-occupazione.

Queste ed altre misure che si potrebbero immaginare, dovranno essere riscontrate alla prova dei fatti, anche considerando la mutazione antropologica che ha conosciuto il modello innovazione-sviluppo-crescita-occupazione, valido fino a pochi anni: per inserirsi nella società globalizzata, dominata dall’informazione e in un mercato del lavoro flessibile – dove non è possibile acquisire una professionalità valida per tutto l’arco della vita – è necessaria una formazione adeguata, che supporti competenze settoriali specifiche e capacità cognitive superiori a quelle del passato. In questo contesto, sia per gli individui sia per le imprese, conoscenza e sapere divengono sempre più una risorsa strategica, tanto nella vita di un singolo individuo, quanto nell’evoluzione di un’impresa.

Papa Francesco: “Giovani, non fatevi rubare la speranza”.

Proprio sulla formazione professionale – oltre che sul “principio di sussidiarietà” – s’incentrava il paragrafo sulla disoccupazione giovanile meridionale del documento della Cei del 2010, intitolato “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”. “(…) I giovani del Meridione – scriveva la Cei – non devono sentirsi condannati a una perenne precarietà che ne penalizza la crescita umana e lavorativa. (…) Oggi sono anzitutto figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale categoria dei nuovi emigranti. Questo cambia i connotati della società meridionale, privandola delle risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell’impresa e dell’impegno politico”. Era un richiamo netto alle responsabilità delle Istituzioni, analogo a quello con il quale Papa Francesco, in occasione della Festa di San Giuseppe Lavoratore, si è rivolto ai responsabili della cosa pubblica, invitandoli a “fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione” perché, ha sottolineato, “questo significa preoccuparsi della dignità delle persone”. Di fronte alle difficoltà che in vari Paesi incontra oggi il mondo del lavoro e delle imprese, a parere del Papa, l’unica via è quella “solidarietà e della giustizia sociale”, contro “una concezione economicista della società che cerca il profitto egoista”.