Mezzogiorno: export culturale a zero

Il Sud detiene il 25% del patrimonio nazionale, ma non riesce a sfruttarlo

“Nonostante il clima recessivo, l’export legato alla cultura continua ad andare molto forte. Durante la crisi è cresciuto del 35%: era di 30,7 miliardi nel 2009, è arrivato a 41,6 nel 2013, pari al 10,7% di tutte le vendite oltre confine delle nostre imprese. Il settore può vantare una bilancia commerciale sempre in attivo negli ultimi 22 anni, periodo durante il quale il valore dei beni esportati è più che triplicato. Il surplus commerciale con l’estero nel 2013 è di 25,7 miliardi di euro: secondo solo, nell’economia nazionale, alla filiera meccanica, e ben superiore, ad esempio, a quella metallurgica (10,3 miliardi)”. Si apre così lo studio di “Symbola” e Unioncamere sull’industria culturale del nostro Paese, che in termini assoluti, con riferimento al settore privato, rende il 5,4% della ricchezza prodotta, pari a 74,9 miliardi di euro, offrendo occupazione a 1,3 milioni di persone, il 5,8% del totale degli occupati in Italia.

Qual è il ruolo del Sud in questo contesto? Nella graduatoria delle prime 10 province italiane per ruolo del sistema produttivo culturale, aperta da Firenze – alla quale seguono Milano, Monza Brianza, Arezzo, Como, Pisa, Lecco, Trieste e Bologna – l’unica provincia del Centro-Sud presente è Roma, al sesto posto. In generale, al Centro – che genera 337mila lavoratori occupati – la cultura produce un valore aggiunto di 18,7 miliardi di euro, equivalenti al 6,2% del totale della locale economia. Seguono il Nord-Ovest, con oltre 26 miliardi di euro, il 5,8% della propria economia, e il Nord-Est con 17,3 miliardi (il 5,4%). Staccato il Mezzogiorno, che dalle industrie culturali produce valore aggiunto per 12,5 miliardi di euro (4%). Se consideriamo la propensione all’export culturale delle regioni italiane, il Sud occupa le ultime posizioni: dall’1,1 della Puglia – rispetto al 7,9 della Toscana, prima in classifica – allo 0,1 della Calabria. Nel mezzo, il Lazio, che riesce ad esportare solo lo 0,5 della sua produzione culturale. Nelle prime venti province italiane per propensione all’export culturale, il Sud non è mai rappresentato, con la provincia di Avellino prima tra tutte, in ventiduesima posizione.

Un ruolo centrale nell’industria culturale, lo rivestono le figure professionali. Il Nord-Est, con lo -0,9% e Nord-Ovest (-0,6%), riescono a contenere parzialmente le perdite di figure professionali, mentre per il Sud si registra una variazione percentuale annua del -1,7%. Non si racconta, forse, da cinquant’anni che per elevare la situazione produttiva del Sud, è necessario promuovere la formazione del capitale umano e la sua capacità di innovazione? Alla “domanda culturale”, concentrata nelle regioni centrali (21,6% dei turisti culturali; 31% quelli stranieri), il Sud contribuisce solo per il 14,8%. In Italia, sono presenti: 4.588 istituti museali aperti al pubblico, 100 archivi di Stato, 8.250 archivi di enti pubblici territoriali, oltre 50.000 archivi tra università, istituzioni culturali, camere di commercio, etc., 12.713 biblioteche, 5.668 beni immobili archeologici vincolati, 46.025 beni architettonici vincolati.

Secondo il Country Brand Index 2012-13, l’Italia è il primo paese al mondo per turismo e cultura, al primo posto per il patrimonio storico, per quello artistico-culturale e per il settore del gusto e al terzo posto per le attrazioni turistiche, con una domanda in rapida crescita nei mercati cinesi e indiani. In questa direzione vanno anche le conclusioni del Rapporto Italiadecide 2014, che si è concentrato sulla necessità di integrare le politiche del turismo con quelle industriali, culturali e territoriali, proponendo, tra le altre cose, di collegare l’Expo 2015 al ruolo dell’Italia come Paese capace di offrire al mondo l’identità dell’intero Occidente, dalla preistoria al barocco. Perché il Sud – che detiene il 25% del patrimonio nazionale, tra musei, monumenti e aree archeologiche ed è potenzialmente in grado di proporre un’offerta culturale e turistica che non ha pari al mondo – dev’essere lasciato morire, senza usare le sue immense ricchezze?