A Mezzogiorno: crescere con il petrolio

La domanda giusta: come farne una grande occasione per la Basilicata?

Con una lettera al “Messaggero” dello scorso 18 maggio, dal titolo “Quel mare di petrolio che giace sotto l’Italia”, l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi pose un problema di non poco conto. “L’Italia”, disse, “è al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord. Abbiamo quindi risorse non sfruttate, unicamente come conseguenza della decisione di non utilizzarle. In poche parole: vogliamo continuare a farci del male”. Prodi aggiunse – il suo ragionamento si basava su dati accertati – che il nostro Paese può produrre 22 milioni di tonnellate di idrocarburi entro il 2020, con due risultati: l’affrancamento di una quota assai rilevante dell’approvvigionamento energetico e la possibilità di investimenti pari a 15 miliardi, che consentirebbe di dare lavoro a decine di imprese e garantirebbe l’occupazione di migliaia di persone. Prodi segnalava di “individuare in fretta gli strumenti che abbiamo”, tenendo presente il “principio di precauzione”, relativo alla sicurezza e alla protezione ambientale, rassicurando che “per gli esperti non c’è nessun rischio” nell’utilizzare i giacimenti e avvertendo che “se non li sfrutta l’Italia verranno presi dalla Croazia”.

Era un monito – ci sembra ragionevole – che il Governo ha accolto nell’art. 38 legge 164/2014, conosciuta come “Sblocca Italia”, che dice: “Le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. Traducendo: viene accentrata la questione energetica e semplificate le procedure di autorizzazione (con l’istituzione di un titolo concessorio unico, valevole tanto per l’esplorazione quanto per l’estrazione).

La questione riguarda soprattutto – come lo stesso Prodi ricordava in quella lettera – la Basilicata, una delle regioni più povere dell’Italia meridionale: in base ai dati dello Svimez (l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), nel 2013 la Basilicata ha fatto registrare rispetto al 2012 un decremento del 6,1% del Prodotto interno lordo e del 2,6% di occupazione; il tasso di disoccupazione dei giovani (fino a 24 anni) ammonta a 55,1%; i neet – coloro che non studiano né lavorano – fino a 34 anni sono 47mila. In un territorio ridotto in queste condizioni – la vita è anche un insieme di paradossi – si cerca ora il petrolio e relativamente alla terraferma, sono 18 le istanze di permessi per ulteriori ricerche depositate al Mise (Ministero dello Sviluppo economico). Una di queste interessa anche l’area del Lagonegrese: si tratta del permesso di esplorazione denominato “Tardiano”, della società Apennine Energy (controllata dall’inglese Sound oil) che coinvolge 10 comuni: 8 in Basilicata (Grumento Nova, Lagonegro, Moliterno, Sarconi, Tramutola, Castelsaraceno, Spinoso e Lauria) e 2 in Campania (Casalbuono e Montesano). I permessi di ricerca già accordati 10, le concessioni di coltivazione 20. Se tutti i progetti dovessero andare in porto, la trivellazione riguarderebbe l’intero territorio: dal Vulture all’Alto Sauro, dal Metapontino alla Val d’Agri, dove c’è il più esteso giacimento dell’Europa continentale: nel 2013, su un totale nazionale di 5,4 milioni di tonnellate di greggio, quasi 4 milioni sono stati estratti dal sottosuolo di questa valle.

Restano da amministrare urgentemente, rispetto a quest’attività di petrolizzazione di un territorio molto vasto – e per molte organizzazioni ambientaliste già “avvelenato” – i timori della popolazione. E’ pensabile – ci chiediamo – continuare a non informare in maniera puntuale e certa la popolazione dei rischi che eventualmente ci potrebbero essere e dei benefici che se ne potrebbero ricavare? Il primario dovere dello Stato non è forse quello d’insegnare agli “ignoranti” – come noi tutti siamo – le ragioni delle sue azioni?