A Mezzogiorno: ci vorrebbe un altro Federico

Intatta la lezione del grande umanista, scienziato e governante moderno

Sono trascorsi 764 anni dal giorno della sua morte, il 13 dicembre 1250, ma la memoria dello “Stupor Mundi”, così fu chiamato il grande Federico II di Svevia – “l’Anticristo” per i suoi avversari – è vivissima. Figlio della regina Costanza di Sicilia e dell’imperatore Enrico VI Staufen – quindi, nipote del Barbarossa – eletto re dei Romani a due anni, orfano a 4 anni, re di Sicilia a 5, allevato nel Sud d’Italia sotto la tutela del Papa e dei baroni normanni e tedeschi, Federico II fu re-sacerdote e imperatore, capo militare, poeta, filosofo, ornitologo, traduttore, astronomo, anatomista, architetto. Scrive Pierre Monnet nel bellissimo libro di Jacques Le Goff “Uomini e donne del Medioevo”: “Il fatto è che la vita di colui che fu re di Germania e dei Romani, imperatore, re di Sicilia e re di Gerusalemme, sposato quattro volte alle figlie del re di Aragona, di Gerusalemme e d’Inghilterra, padre di due re tedeschi, di tre re di Sicilia e di un re di Sardegna, è degna di un romanzo”, che è giunto sino a noi anche attraverso le meraviglie che egli costruì.

Le sue città e le sue fortezze – da Augusta ad Enna, da Marano di Napoli a Siracusa, da Gioia del Colle a Castel del Monte, da Lucera a Foggia e poi, ancora, Bari, Apricena, Castel Pagano e tante altre – alte, imponenti, pensate grazie ad una spiritualità di carattere aulico, sobria, dotta, gridano forte il loro monito all’uomo di oggi ed esprimono il suo gusto e la sua modernità, che intrise anche la sua scienza e il suo pensiero. Le sue leggi sopravvissero alla sua morte e furono frutto di una grande intuizione: l’autonomia politico-amministrativa di un popolo non ha alcun significato se non rispetta le sue tradizioni e la sua cultura. Dovrebbero tenerlo presente coloro che oggigiorno sono pronti a rinunciare alle tradizioni e alla cultura, che sono il fondamento delle società.

La sua modernità, gli suggerì di battersi contro l’usura, ai suoi tempi diffusa in particolare a Napoli e a Bari, dove interi quartieri ebraici svolgevano quest’attività. Federico non desiderava che gli ebrei fossero vittime dei cristiani, ma non desiderava neppure il contrario. Decise, allora, di condurre il controllo pubblico, accordando imparziale giustizia e garanzia come agli altri sudditi del Regno (si pensi alla Costituzione di Melfi). Ah, quanta necessità di controllo ci sarebbe oggi nell’intero Sud per debellare questa piaga! Federico ritenne che in quel periodo storico lo Stato accentratore era una necessità, perché l’esistenza di molteplici regni e principati si accompagnava a lotte sanguinose e senza fine. La costruzione di uno Stato imposto a tutti, avrebbe sì limitato l’indipendenza dei Signori che governavano le genti, ma avrebbe consentito alcune vere libertà. Per potenziare l’apparato burocratico- amministrativo, aveva bisogno di uomini preparati e fondò a Napoli la prima Università Statale. Potenziò la Scuola medica di Salerno: aperta anche alle donne! Il medico doveva esercitare la professione gratuitamente nei confronti dei poveri. Inventò la pubblica igiene, garantita da controlli sia sulle carni, sia sul pesce, sia sulle cantine.

Stipulò patti perfino con il Sultano e con gli egiziani e i siriani, costruendo il Regno di Gerusalemme e morì con l’imposizione dei sacramenti, nonostante le scomuniche e i perdoni di tutti i Papi del suo periodo, lasciando un vuoto che fu colmato solo nel Rinascimento. Alla sua morte, un anonimo scrisse: “cedit sol mundi, qui lucebat in gentibus; cedit sol iustitiae; cedit amor pacis”. Le sue opere, tramandate per secoli, dovrebbero far riflettere questo Sud del terzo millennio, per trarre proprio dalla sua storia passata, la forza, la determinazione ed anche l’esempio, per risorgere.