#Me/We | Il solo limite è la lingua. Ma non troppo

I rifugiati presenti al meeting: «è stata una bella esperienza, mi è servita molto».

C’era anche un nutrito gruppo di giovani rifugiati tra i partecipanti al Meeting svolto presso l’Oasi Gesù bambino dal 2 al 4 gennaio. Alcuni, in particolare, sono seguiti dal progetto Sprar del Comune di Rieti, gestito dalla Caritas diocesana. E a loro, con l’aiuto di un traduttore, abbiamo chiesto di raccontare l’esperienza nelle tre giornate di Greccio.

E così scopriamo che all’inizio non avevano capito troppo bene in cosa consistesse il meeting. Appena arrivati sul posto, però, hanno intuito che sarebbe stata una esperienza bella e ben organizzata.

Ad affascinare i ragazzi stranieri l’incontro di molte persone diverse, ognuna delle quali decisa a scoprire l’esperienza dell’altro e il suo pensiero. Questa cosa gli è piaciuta tanto.

Ad un ragazzo che parla arabo chiediamo che tipo di ambiente hanno trovato. «Avevano paura. Pensavano “mi trovo in un posto che non è mio con gente che non conosco”, però siamo stati subito ben accolti da tutti e hanno gradito che tutti fossero aperti verso di loro».

Domandiamo se, nonostante la barriera linguistica, qualcosa è arrivato dalle conferenze. Ed il traduttore è un po’ stupito mentre rende in italiano la risposta. Non è difficile capire il perché: infatti ci spiega che all’inizio si sono fatti sentire i problemi con la lingua; poi però, neanche lui sa come, questi sono come spariti. Ci si capiva benissimo.

Ed infatti gli altri ragazzi gli hanno spiegato il carico di storia del luogo in cui si sono trovati e gli hanno chiesto notizie della sua storia personale e dell’Iraq. «Io trovavo le parole pronte e loro capivano spontaneamente. È una cosa bella. È stato cosi perché avevamo un solo cuore tutti insieme. Avevamo gli stessi pensieri – ci dice con un termine arabo difficile da tradurre perché esprime un concetto complesso – era come un istinto».

Prima di andare via il traduttore aggiunge che l’amico arabo vuole ringraziare molto le persone che hanno organizzato il meeting perché gli hanno dato qualcosa che non aveva. E vuole che quest’esperienza si ripeta.

Dopo i saluti è stato il turno di un ragazzo del Gambia: con le poche parole d’italiano che conosce, ci esprime gli stessi sentimenti, confermando la qualità dell’organizzazione e l’essersi trovato bene con gli altri ragazzi.

Quindi, aiutati da Giorgia, una delle volontarie, poniamo alcune domande ad un ragazzo afgano che parla inglese.

«In generale – ci dice – è stata una bella esperienza e mi è servita molto perché era la prima volta che passavo del tempo con persone italiane, cosa che fino adesso non era capitata. L’unico problema è stata la lingua, visto che è poco che sono qui in Italia. Questo è stato l’unico aspetto negativo. Gli ultimi giorni sono riuscito a presentarmi e a parlare del mio paese».

Nel raccontare ha ricordato il momento in cui ha dichiarato, di fronte alla platea, che qualsiasi cosa noi facciamo non dipende dalla religione ma è responsabilità del individuo. Ed ha ribadito che il Meeting è stata un’opportunità, e che malgrado i problemi di comunicazione si è fatto degli amici in quei giorni. Andando a Greccio portava con sé dei pregiudizi basati su passate esperienze con italiani, ma questa è stata un occasione per ricredersi.

Gli chiediamo cosa pensa delle conferenze tenute durante la tre giorni e ci confessa di aver percepito il tono generale dei discorsi, ma di non averli capiti a pieno, e si è molto dispiaciuto per non aver compreso la domanda che una giornalista importante gli ha posto. Gli domandiamo se parteciperebbe il prossimo anno alla seconda edizione e lui, nel dire di sì, ci tiene a sottolineare che fra un anno parlerà molto meglio l’italiano.

L’ultima domanda riguarda le sensazioni provate durante la visita del Papa. «È stato bello, è stata una sorpresa perché è una persona che siamo abituati a vedere solo in foto o in televisione», anche se delle parole del pontefice ha capito solo il momento in cui invitava a pregare per lui. Ma si conforta dicendo che probabilmente quella è la parte più importante.
Insomma per questi ragazzi è stata un’esperienza positiva. Il problema della religione non si è nemmeno posto.

L’iniziale diffidenza riguardava la lingua e il fatto che tutti fossero italiani tranne loro. Subito però l’atmosfera del meeting ha trasformato questo timore in un senso di accoglienza e amicizia.