Mettiamo “Triton” alla prova del mare

Di fatto – anche se pochi lo ammettono – Triton raccoglie oggi il testimone da Mare Nostrum. L’operazione italiana istituita un anno fa, dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, ha portato in salvo almeno 100mila vite umane e, pur nella disperazione delle migrazioni forzate che caratterizzano questa nostra epoca, ha rappresentato un lume di umanità e di speranza. Si poteva fare di più, certo, perché per difendere una vita non ci può essere misura né conto economico che tenga. Eppure, molto è stato fatto.
Non tutti la pensano così, ovviamente. Tanti in Europa, e moltissimi in Italia, utilizzano la categoria del “ci costa troppo”, o del “restino a casa loro”. Non a tutti è chiaro il valore assoluto dell’esistenza umana. Anche per questo si sono levate voci autorevoli, molte delle quali dal mondo cattolico, affinché Mare Nostrum proseguisse la sua missione, magari affiancata e sostenuta da un’azione corale europea. Perché – ed è un’altra certezza – il nodo delle migrazioni non può essere un “problema” solo italiano o maltese o greco o dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo. Gli spostamenti forzati di masse di popolazione, con le loro molteplici cause e i pesanti effetti, sono, piaccia o meno, un elemento strutturale di questa magnifica eppure tragica epoca. Si tratta, dunque, di studiare reazioni il più efficaci possibili all’emergenza umanitaria, secondo un principio di solidarietà europea; e al contempo occorre pianificare, e intraprendere al più presto, azioni di più vasto respiro per regolare i flussi migratori, per contrastare la tratta di esseri umani, per favorire lo sviluppo economico e sociale dei Paesi di origine dei flussi. Considerando quest’ultima come la risposta più ardua, ma anche la più vera, giusta ed efficace.
Occorre ora verificare sul campo – anzi sul mare – se Triton (che oggettivamente parte con mezzi e ambizioni inferiori rispetto a Mare Nostrum) darà qualche risultato positivo. Tenuto anche conto del fatto che in genere la stagione invernale tende a scoraggiare le partenze dei barconi dalle coste africane, dando così un poco di tregua a chi opera in prima linea per pattugliamenti, salvataggi e accoglienza. Nel frattempo gli Stati della sponda nord del Mediterraneo continueranno, secondo le regole del diritto internazionale e della marineria, a intervenire nel caso di pericolo immediato nelle acque che separano (o forse uniscono?) Europa e Africa.
Intanto la politica, nazionale ed europea, deve cercare, senza scuse o ritardi, soluzioni adeguate sui due fronti dell’emergenze umanitarie e della politica di sviluppo del vicinato meridionale e orientale.