Media e suicidi: un’enfasi pericolosa

Il rischio di comportamenti emulativi e di rancori sociali

Prima gli imprenditori, poi artigiani, operai e dipendenti che hanno perso il lavoro, quasi tutti vessati dal fisco. È l’immagine prodotta dai media nel dar conto di una serie di suicidi. Ma è questa la verità? Si può trovare un filo comune a queste tragedie? E, soprattutto, sono drammaticamente in crescita, o piuttosto ben diversa rispetto al passato è la loro visibilità mediatica? Interrogativi di fronte ai quali è lecito avanzare dubbi rispetto alla “versione” che quotidianamente riportano tv e giornali. Francesco Rossi per il Sir lo ha chiesto a Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici.

Per cominciare, qual è la sua impressione nello sfogliare i giornali, di fronte alle quotidiane notizie di suicidi?

C’è come un fascio che illumina queste notizie, dando un’enfasi molto pericolosa, perché non c’è nulla di più imitativo del comportamento suicidale.

Qual è la responsabilità dei media? Diritto all’informazione ed etica devono trovare un punto d’incontro?

Generalizzare e mettere insieme casi tra loro molto diversi è, a mio parere, un comportamento irresponsabile del sistema informativo. C’è una strumentalizzazione: ciò che fa audience è il voyeurismo nel privato, la morbosità, come pure il sentirsi sopraffatti da una crisi economica, sociale e valoriale. Ogni storia, invece, è singola. D’altra parte, però, occorre riconoscere che c’è una reale condizione di sofferenza, data da una società individualistica e poco solidale, in cui una sconfitta economica sembra irrisolvibile.

Ma si può delineare un filo comune? Sembra che le cause siano, il più delle volte, la crisi, il fisco vessatore…

Non è la crisi, ma la depressione. Questo, semmai, è il problema comune a quanti si tolgono la vita nella gran parte dei casi, un mostro che impedisce di vedere una soluzione ai problemi e quindi l’unica via di fuga sembra essere la propria morte, quando non anche quella dei propri cari, nell’idea che nessuno deve sopravvivere. È la depressione ad attaccarsi a mille situazioni, come potrebbe essere una crisi matrimoniale o, appunto, una difficoltà economica.

Questa enfasi sui suicidi “per la crisi e le tasse”, oltre al rischio di simulazioni, può portare ad acuire tensioni sociali?

Sono drammi individuali che vengono strumentalizzati e usati come mostri nei confronti di strutture come Equitalia o l’Agenzia delle entrate. Ci sarebbe da chiedersi perché sofferenze individuali – sulle quali l’interrogativo è come non sia stato possibile intercettarle per tempo – vengano poi usate artificiosamente per scopi più banalmente di audience o più finemente politici, creando ira sociale.

Quali potrebbero essere le conseguenze?

Siamo alle soglie di una crisi che non è soltanto economica, ma della struttura di solidarietà della società. Quando crollano i sistemi di solidarietà e prossimità vi può essere qualunque tipo di reazione, e queste notizie vanno a fomentare un’ira sociale che si rivolge verso strutture simbolicamente indicate come mostri.

Sembra quindi che siamo arrivati al capolinea di una mentalità individualistica, che ha sacrificato le relazioni e il prossimo per un presunto – e discutibile – “benessere” del singolo. E ora, come andare avanti?

Chiediamoci perché non si riesce a intercettare il dolore delle singole persone. Stiamo scoprendo una sofferenza che rimane del tutto individuale, non riesce a trovare solidarietà, riscontro, sostegno, aiuto, amicizia, comprensione, ascolto. La crisi da un lato esalta l’individualismo – ‘si salvi chi può’ – mentre dall’altro dovremmo sapere che nessuno può salvarsi da solo e sarebbe il caso di riattivare un sistema di solidarietà, non solo perché è giusto, ma anche perché è conveniente farlo.

Tra le notizie, nei giorni scorsi è uscita quella di una ragazzina di 15 anni che ha salvato il padre quando già aveva la corda al collo…

In questo caso una ragazza ha intercettato per tempo il dolore di un uomo adulto. Ma il gesto che stava per compiere significa che quell’uomo, in realtà, era molto solo. Ciò che può salvare le persone è la ricostruzione di legami solidali e affettivi sani.

A suo avviso, in questo periodo ci sono più suicidi o, piuttosto, è aumentata la loro visibilità mediatica?

Credo che abbiano una visibilità mediatica sproporzionata. Ogni anno in Europa muoiono circa 60 mila persone per suicidio e la depressione nel prossimo decennio sarà la prima causa d’invalidità al mondo, e anche una delle principali cause di mortalità. Quello della salute mentale è un problema rilevante, che dovrebbe essere messo in agenda dai governi e dalle strutture sanitarie: si dice che un adulto su 4 nella sua vita abbia bisogno di cure psichiatriche.

Ma ricorrere a uno psicologo o a uno psichiatra si scontra ancora oggi con la stigmatizzazione sociale…

Questa è l’ultima barriere da abbattere, ciò che impedisce realmente l’accesso alle cure e, magari, a volte porta a gesti estremi, compiuti in solitudine.