Mattarella, i grandi vecchi e i… piccoli giovani

L’Italia ha un nuovo presidente della Repubblica. Si sono sprecate trasmissioni celebrative e manifestazioni di orgoglio nazionale, volte ad esaltare le virtù umane e professionali del neopresidente. In queste ore Mattarella si accinge a fare il giuramento di fedeltà alla Costituzione e a fare il suo discorso “programmatico”. Programmatiche, forse più di tutto, sono state le sue prime parole sulle “speranze e difficoltà” del popolo italiano.

Speriamo bene. Fino a questo punto un aitante e chiacchierone giovane come Renzi, a fronte di grosse proclamazioni che sembravano annunciare capovolgimenti apocalittici, non ha ancora cavato un ragno dal buco. Dovevano vendere le auto blu. Pare ne abbiano appena messe all’asta cinquantatre a fronte delle cento da vendere, e ne abbiano acquistate un altro migliaio.

Le spese di mantenimento del tenore di vita di questa classe di cialtroni sono stratosferiche. Le speranze degli italiani sono anzitutto che cambi la musica pure per loro, presidente Mattarella, poiché le difficoltà del popolo italiano originano dalla incapacità incancrenita della classe politica di togliere a chi ha e dare a chi non ha.

Noi non sappiamo se un uomo che prende la pensione da docente universitario e da parlamentare, e che ha dovuto rinunciare allo stipendio di 470 mila euro l’anno come giudice costituzionale per prenderne circa 280 mila come presidente della Repubblica, si può rendere conto di cosa significhi non avere pochi euro per comprare un po’ di pasta e due fette di mortadella, per mettere insieme pranzo e cena, ma abbiamo fiducia che almeno alzerà la voce, come un padre, l’età è quella, verso un figlio (Renzi), l’età è quella, per fargli capire quali sono le urgenze del momento.

Il problema non è quello di essere giovani o vecchi. Ci sono giovani incapaci, come vecchi incapaci. Giovani capaci e promettenti e vecchi ancora in gamba.

Il problema è se sentiamo ancora i problemi della gente o se sappiamo solo predicare. Renzi finora è stato un predicatore che ha portato a casa pochi risultati, come quei predicatori che fanno grandi proclami, con raffinate e ricercate omelie, e poi svuotano le chiese.

Le parole, sole, non bastano. Ci vogliono fatti, nella Chiesa e nella società, perché si possa incidere in modo sensibile e duraturo.

Purtroppo il presidente della Repubblica italiana ha veramente pochi strumenti per pretendere che giovani inesperti facciano presto e bene quello che c’è da fare.