Matrimonio gay, dopo l’Irlanda. Don Fabrizio: «Ascolto e dialogo»

L’Irlanda dice sì ai matrimoni gay. Il referendum popolare indetto sul tema è passato con il 62,1% dei voti favorevoli. Ne parliamo con il parroco di Regina Pacis don Fabrizio Borrello.

Don Fabrizio, l’arcivescovo di Dublino ha dichiarato che l’esito favorevole al matrimonio omosessuale del referendum celebrato pochi giorni fa in Irlanda corrisponde al punto di vista dei giovani.

Secondo me l’esito del voto non è stato determinato da una chiara presa di coscienza della questione. Mi pare che la scelta sia stata determinata più che altro da una posizione ideologica. La mia sensazione è che in questo momento l’Irlanda stia quasi reagendo ad una sorta di questione culturale, come se volesse scrollarsi di dosso l’etichetta di Paese “cattolico”, non da ultimo anche per reazione alla dolorosa questione della pedofilia del clero. Del resto da alcuni sondaggi pare sia emerso che i giovani non abbiano neppure ben capito di aver votato una riforma costituzionale.

Però che questi ragazzi abbiano rifiutato i valori della tradizione cattolica, nella quale sono stati cresciuti ed educati, alla luce del referendum sembra evidente…

Probabilmente è in atto un processo che si è aperto proprio con i grandi scandali. Il pericolo è che si stia buttando via il bambino con l’acqua sporca. Però ho la sensazione che questa schiacciante vittoria dei “Sì” non riguardi tanto la posta in gioco, ma sia soprattutto il rifiuto di una tradizione compiuta in chiave di protesta ed emancipazione.

Possiamo leggere il voto irlandese come una sorta di equivoco sulla strada della ricerca della modernità? Quasi che per sentirsi contemporanei occorra rinunciare ai valori della religione?

Il fatto è che la Chiesa d’Irlanda è stata davvero abbattuta dagli scandali di pedofilia: non dimentichiamoci i vescovi dimissionati e la dura posizione assunta da Papa Benedetto XVI. Probabilmente si sta cercando di prendere le distanze da un vecchio modo di fare. Una vittoria così schiacciante dei “Sì” mi sembra più un messaggio mandato ad un certo tipo di establishment culturale e politico che la presa di coscienza di cambiamento dei valori: è come se si fosse voluto dare uno schiaffo al sistema passato. Per analogia, un parallelo in casa nostra potrebbe essere fatto con il successo del Movimento 5 Stelle. Non penso abbia nulla di negativo, ma mi domando quanti tra quelli che ne hanno determinato l’enorme successo elettorale l’abbiano scelto abbracciandone l’orizzonte culturale, e quanti invece si siano risolti a votare Grillo per protesta.

Ipotizziamo che un referendum dello stesso tipo venga fatto in Italia. Quale sarebbe l’esito?

Non credo che avrebbe lo stesso risultato. Ma non perché il tema di questo genere di diritti non sia sul tavolo. Mi pare però che in Italia il sistema referendario sia molto più selettivo. Spesso siamo stati chiamati al voto su problematiche serie, ma non si è riusciti a raggiungere il quorum. E probabilmente non sono questi i temi che oggi potrebbero trovare una grande partecipazione referendaria.

In ogni caso l’insegnamento della Chiesa non cambia: l’unico matrimonio è quello tra un uomo e una donna. Rimane però aperto un dibattito sui diritti civili: quand’anche non si pretenda di equiparare le unioni omosessuali al matrimonio, nella società è presente una spinta a dare un riconoscimento alla stabilità di questo genere di relazioni…

In una società complessa come la nostra è improbabile che non emerga un discorso di questo genere. Sembra un problema molto sentito, ma io credo che vada acquisito facendo una riflessione molto seria, senza cercare di imporre scelte dall’alto. Sono realtà alla cui soluzione si deve arrivare dialogando, approfondendo, creando un sostrato culturale nel quale le visioni si possano confrontare per arrivare ad una sintesi. Tornando all’Irlanda, non so quanto le tematiche siano state sviscerate e quanto invece si sia semplicemente giocato sul piano ideologico.

Questi temi stanno attraversando in vario modo la Chiesa. In diversi Paesi il dibattito avviato dal Sinodo sulla Famiglia è stato anche molto acceso. Per la diocesi di Rieti ti occupi di pastorale familiare: secondo te i patti civili per le unioni omosessuali sono accettabili dal punto di vista cattolico?

Bisogna vedere cosa si chiede in questo genere di patti. Se si chiede l’equiparazione al matrimonio come tale credo che ci voglia ancora un lungo cammino. Se al contrario si tratta di formalizzare alcuni diritti delle persone, credo si possa già cominciare a pensare e a dialogare.

Quindi quale atteggiamento dovrebbero avere i cattolici verso le unioni omosessuali, tolto l’equivoco dell’equiparazione al matrimonio?

Potrebbero iniziare ad ascoltare le ragioni degli altri e a presentare le proprie. Ascoltare e dialogare: per non porsi sempre e comunque in un arroccamento, per provare a capire le reciproche ragioni. Il dialogo e l’ascolto sono importanti all’interno della vita della Chiesa. Ma mettersi in ascolto non vuol dire accettare tout court, vuol dire provare a comprendere ed accogliere.

«La Chiesa non chiude le porte a nessuno» ha detto Papa Francesco in questi giorni…

È vero, ma questo può voler dire tante cose. Ripeto: soprattutto si tratta di mettersi in ascolto. Dove c’è una domanda, una richiesta, un bisogno, una esigenza, la Chiesa presta orecchio. Quanto alle risposte non può che darle senza tradire né la dottrina, né la teologia. E del resto è rimasta coerente per duemila anni dialogando con tutte le culture in cui si è incarnata, trovando sempre una sintesi con le esigenze dei vari momenti.