Matera pensa in grande

È l’unica strada praticabile per primeggiare nel mondo globalizzato

Nel luglio scorso, in occasione dei suoi cinquant’anni, “L’Osservatore Romano” definì “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, “un capolavoro, e probabilmente il miglior film su Gesù mai girato”. Aggiunse il critico Emilio Ranzato: “È il film in cui la sua parola risuona più fluida, aerea e insieme stentorea. Scolpita nella spoglia pietra come i migliori momenti del cinema pasoliniano”. Quella pietra, erano i “sassi” di Matera – considerati patrimonio dell’umanità dall’Unesco – che anche Mel Gibson, nel 2003, volle come scenario ideale de “La passione di Cristo”. Dal dopoguerra ad oggi, quei “sassi” sono stati la scena di oltre 50 film. Tra i più belli: “La lupa”, di Alberto Lattuada; “Allonsanfan”, di Paolo e Vittorio Taviani; “Cristo si è fermato a Eboli” e “Tre fratelli”, di Francesco Rosi; “L’uomo delle stelle”, di Giuseppe Tornatore.

Lo splendore della bellezza antica di Matera è stato ancora una volta scelto dalla Commissione europea che doveva designare la Capitale europea per il 2019. Matera ha vinto – insieme a Plovdiv, in Bulgaria – superando Cagliari, Lecce, Perugia-Assisi, Siena e Ravenna. È la rivincita per un’intera regione, che l’ultimo rapporto Svimez definisce a rischio desertificazione industriale e demografica, con un calo cumulato di crescita del 16% nel raffronto 2008-2013 e un calo del Pil del 6%. Una regione dove si continua a emigrare a doppia cifra, non si fanno figli e ci si impoverisce oppure si lascia trivellare il terreno in maniera forsennata alla ricerca di petrolio, per incassare immaginarie royalties, che finora non hanno realizzato nessuno sviluppo, senza pensare alle centinaia di siti contaminati che non si bonificano, per poi proporre di spostare 700-800 abitanti di un quartiere di Pisticci – com’è accaduto l’estate scorsa – a rischio per i reflui di un’azienda. Chi l’ha detto, ha anche aggiunto: “Non si tratta mica dei 25mila abitanti del quartiere Tamburi di Taranto che hanno a che fare con l’Ilva!”.

Tutto, al Sud, è un po’ ingarbugliato. L’arcano – nel senso di antico – convive con il misterioso, nel senso di incomprensibile. Il groviglio è simile all’incantesimo delle fiabe: non si dipana mai. Almeno nelle fiabe si sa che alla fine ci pensa il principe azzurro, mentre nel raccontare le storie e le vicende del Sud ci si accorge che un po’ tutto è affidato al caso, alla sorte. La nomina di Matera a capitale europea della cultura dimostra che le imprese possono riuscire solo se si progettano idee, se si dà spazio alla creatività e all’innovazione, se si mira a conseguire obiettivi ambiziosi, astraendosi – in qualche modo – dalla realtà che si vive. Fino ad ora, Matera si è “accontentata” di occupare il 76mo posto nella classifica che il “Sole 24 Ore” stila ogni anno sulla qualità della vita in Italia e di essere la prima delle province meridionali. Il Sud non si deve più “accontentare”. Ha tutte le risorse per primeggiare e per competere. Lo dimostra proprio il progetto presentato all’Europa – s’intitola “Open Future” – che ha due capisaldi: l’istituzione dell’Istituto demoetnoantropologico (I-Dea), luogo in cui arte e scienza si incontreranno a partire dagli archivi condivisi reperiti in regione, in Italia e in Europa; l’Open Design school, che a partire dal 2015 permetterà di creare una nuova generazione di designer con capacità e competenze necessarie a sviluppare localmente gran parte delle strutture e delle tecnologie indispensabili per realizzare il cartellone di Matera 2019. Attorno a queste iniziative ruotano 100 altri progetti, già finanziati per la metà (5 milioni di euro) attraverso la costituzione di una Fondazione. Non ci si limiti, ora, ad attendere il “ritorno” economico. Si pensi in grande, anche per costituire un esempio e un volano per tutto il Sud.