Mafie e corruzione: è crisi permanente. Ancora indietro nell’investimento culturale e morale

Sono passati ormai venticinque anni dagli assassinii a ripetizione dei giudici Falcone e Borsellino, di Francesca Morvillo e degli agenti delle loro scorte. È tempo di anniversari, tra il 23 maggio e il 19 luglio. Così come è sempre tempo di corruzione e di denuncia della corruzione, per cui, unica tra le democrazie avanzate l’Italia ha addirittura costituito un’apposita Autority. Un quarto di secolo che ci ripropone, dai primi anni Novanta, mafie e corruzione, la questione della nostra crisi permanente e dell’identità della nostra democrazia.

In fin dei conti è sempre una questione di puzza. Anzi, di “spuzza”, come aveva detto papa Francesco a Scampia il 21 marzo 2015. È una questione di corruzione e di conversione, ovvero di libertà.
Sono passati ormai venticinque anni dagli assassinii a ripetizione dei giudici Falcone e Borsellino, di Francesca Morvillo e degli agenti delle loro scorte. È tempo di anniversari, tra il 23 maggio e il 19 luglio. Così come è sempre tempo di corruzione e di denuncia della corruzione, per cui, unica tra le democrazie avanzate l’Italia ha addirittura costituito un’apposita Autority.

Un quarto di secolo che ci ripropone, dai primi anni Novanta, mafie e corruzione, la questione della nostra crisi permanente e dell’identità della nostra democrazia.

In realtà le cose sono semplicissime, come disse Paolo Borsellino commemorando il collega Giovanni Falcone, con la serena consapevolezza che presto sarebbe toccato pure a lui. Parla, senza alcuna retorica, ma con la linearità di una testimonianza, di “un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Culturale e morale: sintatticamente si tratta di un’endiadi, due parole, cioè, di cui l’una è il compimento dell’altra. Ma proprio qui c’è il problema. Sono due parole dimenticate, perché fanno paura. Invece proprio adesso i più giovani reclamano la verità, prima di tutto. Smascherano le parole e le retoriche, che pure si moltiplicano.

Sull’investimento culturale e morale siamo molto, molto indietro, per difetto di fondamento. Ma non bisogna avere paura di falsificare il politicamente corretto.

“Per raddrizzare la condizione corrotta delle nostre realtà (parti dello Stato, parti della Chiesa o di istituzioni in genere) c’è sempre più bisogno di interventi educativi, fatti di scelte e gesti concreti. Il tutto messo in atto da persone credibili. C’è bisogno quindi di integrare e accompagnare l’azione di repressione della corruzione con un impegno fortemente culturale; ricordando l’altissimo tasso di pericolosità che interessa la corruzione dell’intelligenza, della volontà e del cuore”, ha detto mons. Nunzio Galantino nei giorni scorsi al Senato.

Le abbondanti dosi di narcotico e di conformismo che caratterizzano il sistema della comunicazione e del consumo in realtà non aiutano e la conclusione del segretario generale della Cei è realista:

“Spendersi per ridurre il tasso di corruzione difficilmente procura consensi. Anzi!”.

Ma è ancora più vero che la corruzione non conviene, anzi, danneggia tutti, anche coloro che all’inizio sembra ne traggano vantaggio. Non bisogna stancarsi di riaffermarlo, andando controcorrente nelle parole e nelle opere. Quando lo capiremo andremo avanti, uscendo finalmente dai miasmi della puzza, da un blocco ormai troppo lungo, quello della nostra decadenza.