Ma il vento soffia davvero?

Ovunque, nei media generalisti, si parla di un vento di cambiamento. Già da solo questo fatto dovrebbe mettere qualche sospetto. Se poi si guarda al panorama nel suo complesso la disillusione si fa concreta. Non è che manchino segnali buoni, il problema è che abbondano i falsi profeti.

“Riscossa popolare”, “movimento popolare” e “sentimento popolare”, sono termini che riempiono i giornali e le bocche di tanti in questi giorni. Vengono legati agli esiti delle ultime elezioni amministrative e a quelli dei Referendum, che popolari lo sono per definizione.

Volendo usare un’altra formula, potremmo dire che il popolare avanza. Questo però non significa che si fa avanti, che conquista terreno. Il popolare avanza nel senso che è qualcosa di residuo, una sovrabbondanza non richiesta, un qualcosa di eccentrico, di esterno al contesto.

Nell’ultima tornata referendaria gli unici quesiti venuti “dal basso” sono stati quelli sull’acqua. Sono stati promossi da migliaia di cittadini sparsi lungo lo Stivale, un movimento aperto e partecipato. Sono stati il frutto di una elaborazione teorica lunga, che ha coinvolto persone di diversa impostazione culturale, e che è stata largamente ignorata dalla politica e dai media mainstream.

Già prima dell’emergenza referendaria, resa necessaria dalle leggi elaborate dal Governo Berlusconi, gruppi organizzati di cittadini avevano tentato la strada della legge di iniziativa popolare. Popolare, ma marginale. All’epoca della stesura governava Prodi e non fu minimamente presa in considerazione, né è stata portata avanti dal Governo successivo.

Questo è il popolare che avanza: le istanze nate dal basso vengono scartate a priori, rimangono estranee agli interessi del sistema. Per quanto ampie e profonde, non riescono ancora a diventare forza concreta, capace di competere con le posizioni e le strategie degli interessi dominanti.

L’esito referendario, ad esempio, dovrebbe aprire la strada ad un cambiamento radicale. Dovrebbe costituire uno sbarramento all’idea che i “beni comuni” possono essere gestiti con l’ottica del mercato. Ma che le cose stiano così è tutto da dimostrare.

Il Referendum, di fatto, lascia semplicemente intatto lo status quo e l’acqua e l’energia, due problemi centrali nella vita di ognuno, al momento non risultano gestiti dal popolo.

Non a caso i partiti si stanno già appropriando del risultato referendario. A parole riconoscono il ruolo centrale dei cittadini nella società e il loro diritto di partecipare alle decisioni sui temi di pubblico interesse. Nei fatti gli stessi cittadini rimangono outsider senza vera rappresentanza nelle stanze in cui si determinano le scelte.

Una autentica affermazione popolare, rispetto ai temi dei Referendum, si avrà quando la gestione del servizio idrico avverrà con un diretto coinvolgimento dei cittadini, o quando la parte maggiore dell’energia che manda avanti le nostre abitazioni sarà prodotta autonomamente dalle famiglie. Forme di determinazione diretta che ad oggi sono sostanzialmente impossibili o la cui portata è minimizzata.

Gli interessi che sono stati contrastati dal risultato referendario non sono stati affatto sconfitti. È stato messo appena qualche puntello al loro dilagare. Mentre la democrazia rimane inceppata in una rappresentanza di sola finzione, il potere economico continua a dettare pensieri e costumi attraverso la capacità di persuasione dei mass media.

Guardiamo ad esempio a quello che succede nel Piemonte occidentale. Il dissenso verso la TAV viene criminalizzato e messo al margine. Per imporre l’apertura dei cantieri della Torino-Lione è stata ventilata anche la militarizzazione della Val di Susa, giustificandola con la presunta violenza dei cittadini contrari alla nuova linea ferroviaria. Non c’è volontà popolare che tenga e non importa che finora, a finire all’ospedale colpiti dai manganelli, siano stati solo i valsusini. Per la politica che conta, anche a sinistra, la TAV si “deve” fare perché serve allo «sviluppo del Piemonte», ovvero a regalare qualche miliardo di euro alle lobby del cemento per la realizzazione di un’opera sostanzialmente inutile e devastante per il paesaggio e l’ambiente. Punto. Per questo è in atto una grande campagna mediatica, che scredita il movimento No-Tav nascondendo le dimensioni e le ragioni dell’opposizione, presentandolo come covo di estremisti e sovversivi. Altro che riscossa popolare. Anche la riduzione del tema a problema locale è faziosa. La TAV è al momento la maggiore opera pubblica italiana, la paga tutto il Paese. Il fatto che i diretti interessati dicano che è un’opera inutile oltre che devastante non dovrebbe lasciarci indifferenti, visto che i soldi per farla escono dalle nostre tasche. Eppure siamo immersi nella solita apatia.

Il popolo rimane bue nonostante la vittoria referendaria, ecco il guaio. I quattro Sì non sono certo inutili, ma nei media vengono cavalcati da chi non ha fatto nulla per idearli e promuoverli, da chi non ne condivide neanche lontanamente l’impostazione, senza che nessuno se ne avveda. Eppure a piazza Bocca della Verità, dove i comitati per il Sì hanno festeggiato la vittoria, i politici erano banditi dal palco e non per caso.

La stragrande maggioranza di coloro che hanno votato non è classificabile con le tradizionali categorie di destra e sinistra. Il dissenso è fondato su logiche che non appartengono all’impostazione dei partiti. Rimane però il problema di un sistema organizzato attorno ai partiti. Alcuni sono più populisti di altri, ma in generale gli interessi delle sigle politiche paiono assai lontani da quelli del popolo.

Molti dei problemi del tempo presente derivano da politiche liberiste, ampiamente condivise, che hanno lavorato per condurre ogni aspetto della vita delle persone nelle disponibilità del mercato. Che il vento nuovo che si sente spirare nella società sia abbastanza forte da contrastare questa impostazione è una scommessa. Si dovrà verificare la reale capacità di questi movimenti di dimostrare desiderabile l’abbandono dell’impostazione consumistica degli ultimi decenni.

Il quorum raggiunto al Referendum potrà essere considerato una vittoria solo se sarà un concreto primo passo verso soluzioni capaci di rendere determinanti le istanze popolari rispetto alle grandi contese del mondo contemporaneo. Sul tavolo ci sono il lavoro, la scuola, l’ambiente, i trasporti, la salute, la giustizia sociale. Tutti temi rispetto cui il sentimento popolare, ad oggi, rimane ampiamente perdente.