Cultura

Ma è proprio vero che a Rieti non accade mai niente?

Se per caso ci si mette a compilare l’elenco delle iniziative culturali della città, ci si stupisce di quante siano e della loro qualità, mediamente alta. Dai libri alla musica, dal teatro alla danza, dalle arti figurative alla fotografia, i momenti di incontro e pensiero sono tanti e diffusi su tutto l’arco dell’anno. Perché allora è un luogo comune che Rieti sia una città moribonda, culturalmente asfittica, dove nulla mai accade?

Non era così scontato il successo di Liberi sulla Carta, iniziativa sulla piccola editoria svolta a Rieti la scorsa settimana negli spazi esterni dell’ex convento di Santa Lucia. Una sorta di modestia, infatti, ci spinge troppo spesso a credere di vivere in una città sorda ai richiami della cultura. Si tratta in verità di un pregiudizio: in realtà nel capoluogo accadono di continuo stimolanti eventi culturali. Per restare all’editoria, le due principali librerie non sono certo avare di presentazioni e incontri con gli autori. La biblioteca comunale è spesso usata allo stesso scopo e il premio letterario non è privo di riscontro in città.

Anche se guardiamo alla musica ci sono proposte istituzionali affermate come l’ormai prossimo Reate Festival, e situazioni che stanno a poco a poco ricavando il proprio spazio come il Festival internazionale di chitarra, in programma dal 27 al 30 settembre. Sempre parlando di musica, la città vanta anche una qualche tradizione nelle proposte d’avanguardia, con una particolare attenzione alla ricerca più avanzata e all’elettronica, la cui ultima incarnazione è stata l’EMUfestSABINA dello scorso luglio. E poi ci sono formazioni corali di qualità, rock band affermate come quella di Mattia Caroli e i Fiori del Male, musicisti attenti al popolare e all’antico come Raffaello Simeoni, un liceo musicale, il conservatorio, diverse scuole di musica. Associazioni come Musikologiamo realizzano ogni anno decine di concerti, anche in luoghi poco usuali come l’ospedale, e nei locali notturni frequentati dai più giovani non è raro poter ascoltare dal vivo musicisti di primo piano e il meglio la musica rock indipendente italiana.

Lo stesso tipo di elenco lo potremmo fare con il teatro, con la danza, con le arti figurative, con la fotografia. Anche la Chiesa fa la sua parte: l’Incontro pastorale, il Meeting dei Giovani, la Giornata per gli operatori dell’Informazione e le tante altre iniziative promosse dagli uffici pastorali offrono sempre spunti culturali di spessore. Perché allora è un luogo comune che Rieti sia una città moribonda, culturalmente asfittica, dove nulla mai accade? Azzardare una risposta è difficile, ma si può provare a fare qualche congettura, in libertà, senza pretese. A me, ad esempio, viene in mente che forse siamo noi a non sapere più bene chi siamo, e forse per questo fatichiamo a riconoscere le cose, e stiamo a guardare più a quello che ci manca che a quello che abbiamo.

Di questo atteggiamento ci dà una immagine il centro storico, troppo spesso trattato come fosse la periferia di se stesso. Un luogo in cui sembra contare la sola dimensione commerciale, quella del mercato e della fiera, del due più due. Pare fiaccato dalla sfiducia verso ogni sua altra vocazione, a partire da quella più alta, di luogo della memoria, delle relazioni, della polis. Lo diciamo tutti che è necessario rivitalizzare il centro storico. Ma per riuscirci dobbiamo fuggire il tentativo di farne una disneyland e la tentazione di ridurlo a un morto museo. Meglio farne l’oggetto di interventi che lo rendano nuovamente una parte importante e vitale della città.

Si possono riportare i cittadini in centro piantando la tenda di un circo, ma l’effetto dura il tempo del biglietto. Forse è più efficace restituire a questa parte di città le funzioni che le sono proprie. Tra questa c’è quella culturale: a crederci, l’abbiamo visto, non si sbaglia. Il successo di Liberi sulla Carta ha rivelato un appetito dei reatini per i libri, per la parola, per il pensiero, che non va sottovalutato, ma alimentato, sostenuto, aiutato a crescere. Perché la cultura resta e sedimenta e a poco a poco dà fondamento a nuove visioni, a nuove idee, a possibilità di futuro.