L’ultima eroina di Luc Besson

Con “Lucy” un viaggio adrenalitico ai confini delle moderne neuroscienze

Luc Besson è uno dei pochi registi europei ad essere stato in grado di realizzare film d’azione spettacolari capaci di eguagliare e a volte superare le pellicole americane. È riuscito, perciò, a dirigere opere di genere di grande successo che non hanno niente da invidiare ad Hollywood e alle sue produzioni pluri-miliardarie. Anzi, Besson ha un merito ulteriore: ha declinato un genere tipicamente maschile come quello d’azione, che infatti negli Stati Uniti ha per protagonisti eroi machi, forzuti e tosti, in un genere più al femminile in cui al centro delle vicende raccontate troviamo eroine che usano sì le loro doti fisiche ma anche le loro doti tipicamente femminili come quelle della seduzione e dell’intelligenza psicologica. Questo aspetto innovativo lo ritroviamo in “Lucy”, pellicola che oggi è presente nelle sale italiane e sta vincendo la gara del box-office.

Dopo Milla Ovovich in “Giovanna D’arco” e “Il quinto elemento”, Natalie Portman in “Leon” e Anne Paudrillard in “Nikita”, oggi è la diva americana Scarlett Johansson ad incarnare la nuova eroina del cinema d’azione di Besson. E lo fa con una prova convincente, capace di appassionare il pubblico. Lucy è una studentessa che vive a Taiwan. Si trova costretta a consegnare una valigetta dal contenuto misterioso a un criminale coreano, Mr. Jang. Costui, una volta verificato ciò che gli è stato portato, sequestra la ragazza. Le fa inserire nel corpo uno dei pacchetti ricevuti che contiene una sostanza di cui dovrebbe essere la passiva trasportatrice. Non sarà così perché il pacchetto si rompe e il prodotto chimico viene assorbito dal suo corpo il quale progressivamente sviluppa una capacità di conoscenza e di potere inimmaginabili per chi non sia, come il professor Norman, un neuro ricercatore.

Il film è un puzzle narrativo e visivo di cui si può cogliere la reale sostanza solo se si sanno pazientemente ricomporre i pezzi. L’assunto iniziale è legato alle neuro scienze e ci ricorda che il nostro cervello ha sviluppato solo una piccolissima parte delle sue potenzialità rispetto all’homo sapiens (non dimentichiamo che Lucy è il nome che è stato dato alla prima donna di cui l’antropologia abbia conoscenza). Cosa accadrebbe se si passasse progressivamente dalla potenza all’atto, se i neuroni attivi aumentassero percentualmente? È questa la domanda iniziale su cui si innesta l’azione di una supereroina suo malgrado che combatte contro il Male. Una pellicola che parte come film d’azione e poi diventa un po’ film di fantascienza un po’ film tratto dai fumetti, in un mix di generi che strizza l’occhio alle mode narrative cinematografiche di successo della Hollywood contemporanea. Un mix adrenalinico in cui Besson ci porta sulle montagne russe al seguito della sua eroina, in un ritmo sincopato e velocissimo tipico delle pellicole contemporanee postmoderne. In cui non c’è spazio per la riflessione e quello che conta è l’emozione istantanea che l’azione, il movimento, la musica, gli effetti speciali inducono negli spettatori. Anche la filosofia che sta alla base della pellicola, se di filosofia si può parlare, è tipicamente postmoderna: l’eroina di Besson incarna in pieno le ricerche di spiritualità alternativa che caratterizzano la nostra società, che cerca nuovamente il sacro e i valori in cui credere.